Tra qualche giorno in giro per i Territori occupati di USaid, l’agenzia governativa statunitense per lo sviluppo internazionale, resteranno solo i cartelli lungo le strade e le targhe sugli edifici a ricordare i progetti che ha finanziato negli ultimi 25 anni. Il 31 gennaio USaid cesserà qualsiasi attività in Cisgiordania e Gaza. I suoi dipendenti locali licenziati. La decisione di Donald Trump di tagliare i fondi americani per i palestinesi – fanno eccezione quelli per i servizi di sicurezza dell’Autorità Nazionale (Anp) perché collaborano attivamente con quelli di Israele – non ha soltanto interrotto le donazioni destinate all’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste oltre cinque milioni di profughi palestinesi. Con un colpo di spugna ha azzerato anche i 200 milioni di dollari che annualmente, attraverso l’agenzia Usa per lo sviluppo, venivano destinati ad Ong, ad associazioni, all’istruzione, ad istituti di carità e a progetti per la costruzione e la riabilitazione di infrastrutture civili. Le conseguenze sono devastanti.

In verità per tanti palestinesi la chiusura degli uffici locali di USaid – che dal 1994 ha investito in Cisgiordania e Gaza 5,5 miliardi di dollari – è uno sviluppo positivo perché recide il rapporto di dipendenza verso gli aiuti degli Stati uniti. USaid è accusata, non solo dai palestinesi, di condizionare, e non poco, le scelte delle organizzazioni locali con le quali opera. Il suo aiuto ricorda il Piano Marshall varato dopo la seconda guerra mondiale che, attraverso generosi aiuti alla ricostruzione, ha legato indissolubilmente i paesi occidentali alla linea di Washington. E ciò è avvenuto anche con l’Anp, almeno fino al 6 dicembre 2017 quando Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele provocando la rottura dei rapporti con il presidente palestinese Abu Mazen. Accanto a chi si rallegra però ci sono decine di migliaia di palestinesi che non ricevono più aiuti alimentari o servizi sanitari di base poiché 71 progetti finanziati da USaid sono stati annullati, anche quelli già in corso.

«Ogni giorno raccogliamo la disperazione di uomini e donne. I progetti di USaid bloccati da Trump coinvolgevano almeno 45 imprese delle costruzioni, impiantistica e arredamenti», dice al manifesto un funzionario europeo della cooperazione «gli addetti impegnati direttamente nei progetti in questione sono stimabili tra i 1000 e 1200 tra ingegneri, tecnici qualificati, amministrativi e manovali». Una grande impresa di costruzioni, con sede a Ramallah, ha già ufficializzato che a partire dal 1 febbraio procederà al licenziamento di 130 dipendenti. «Sappiamo che licenziamenti sono annunciati un po’ ovunque (nei Territori) e il più delle volte riguardano semplici lavoratori», ha aggiunto il funzionario. Gli incontri in corso tra le varie istituzioni palestinesi, le Ong internazionali e le associazioni di categoria e sindacali, non sono destinati a dare una soluzione immediata a chi non avrà più un lavoro e difficilmente ne troverà un altro, tenendo conto della debolezza dell’economia palestinese sotto occupazione israeliana.

Tra le Ong colpite da Trump c’è Global Communities, attiva nei Territori occupati dal 1995. Assicurava fino allo scorso anno aiuti alimentari a più di 180.000 palestinesi grazie ai 19 milioni di dollari all’anno per i prossimi cinque anni garantiti da USaid. Poi sono arrivati i tagli. Ora Global Communities può fornire aiuti a 90.000 persone solo fino a marzo e ha già licenziato 30 persone. «La situazione è davvero dolorosa perché parliamo del livello più elementare di assistenza. Ogni famiglia inserita nel programma di aiuti riceveva un buono mensile del valore di 130 dollari con il quale comprava cibo», ha raccontato ad al Jazeera la direttrice della Ong, Lana Abu Hijle.

Tra i servizi tagliati anche un programma per la prevenzione e la cura del cancro al seno per circa 16mila donne palestinesi e per l’assistenza a 700 bambini affetti da gravi malattie croniche. Louai Abdel Shafi, licenziato da una associazione senza più fondi, invita a resistere. «È dura ma occorre pagare questo prezzo se vogliamo liberarci del peso degli Stati uniti sulla Palestina».