Certo, è una questione che non toglie il sonno come Assad e la strage di civili con le armi chimiche. Oppure quanto le minacce atomiche del dittatore nordcoreano Kim Jong-un, che ha mostrato di aver apprezzato davvero poco l’iniziativa militare statunitense contro la Siria. Ma Donald Trump presto dovrà fare i conti con la candidatura congiunta tra Stati uniti, Canada e Messico per l’organizzazione dei Mondiali di calcio 2026. Un’ipotesi su cui da tempo si discute negli uffici della Fifa, la candidature collettive – la prima è avvenuta e con successo ai mondiali di 15 anni tra Corea del Sud e Giappone – piacciono parecchio ai nuovi nocchieri del pallone mondiale. Lo stesso Michel Platini, prima che la sua carriera da politico alla Fifa si inabissasse per affari poco puliti con Sepp Blatter, si era speso moltissimo, ottenendo che Euro 2020 fosse spezzettato tra diverse sedi di diversi Paesi europei.

Ma per Trump la questione sarà presto all’ordine del giorno. E poco conta il peso relativo del soccer nella discussione nazionale e la sua adesione arrivata a mezzo stampa poche ore fa al terzetto di Paesi americani per il 2026 attraverso il presidente della federcalcio americana Gulati, aggiungendo che il calcio potrebbe essere un terreno comune per ospitare uno dei più grandi eventi sportivi al mondo. Anzi, il presidente – anche se dalla Casa Bianca non sono arrivate voci ufficiali – si sarebbe detto entusiasta della presenza del Messico nell’affaire mondiali 2026. Certo come la mettiamo con il viaggio a Washington annullato a fine gennaio dal presidente messicano Pena Nieto, il giorno dopo la presentazione del Piano per la costruzione del Muro lungo il confine Messico – Usa, secondo Trump per mettere un freno all’immigrazione clandestina? Lo stesso Pena Nieto ha chiarito che il Messico non metterà un euro per quel Muro. Senza dimenticare – ma sarebbe impossibile farlo anche negli Stati uniti che conoscono bene il percorso intrecciato tra business e sport, dollari e gol – i messicani «criminali, trafficanti e stupratori», la frase choc di Trump durante la campagna elettorale. Insomma, come si lavora con l’amministrazione messicana, con i messicani identificati come il demonio?

Senza sottovalutare anche il quadro d’assieme sul quale si è innestata la notizia della candidatura a tre per la Coppa del Mondo in programma tra nove anni. Intanto è arrivata mentre Trump punta a rinegoziare il Nafta, l’accordo di libero scambio tra i tre Paesi. Ma è soprattutto il Muro piazzato tra i confini statunitensi e il Messico, quell’ammasso di filo spinato e poca tolleranza e rispetto per la principale forza – lavoro non americana a pesare parecchio sull’appeal di Trump sugli americani. Un fattore che potrebbe rendere accidentato il percorso all’accettazione del ticket Usa – Canada – Messico. Anche se The Donald non sarebbe presidente in carica nel 2026, pure nella (sciagurata) eventualità che gli americani lo accreditassero di un secondo mandato.