L’immagine del pericoloso presidente Donald Trump, il circo che ha preparato insieme al premier israeliano Benjamin Netanyahu, la situazione tragica dei palestinesi: tutto questo fa dimenticare alcuni aspetti reali dell’evento svoltosi ieri a Washington. Centinaia di invitati e due ministri degli esteri arabi alla Casa bianca: non servivano solo agli interessi elettorali del presidente e del suo ospite d’onore israeliano, ma celavano importanti riallineamenti regionali.

Per il popolo statunitense non è così significativo un evento al quale arrivano israeliani e rappresentanti di due paesi dei quali i più nemmeno conoscevano l’esistenza e il ruolo. Ma per gli elettori evangelici di Trump, si tratta di un altro passo elettorale.

Benjamin «Bibi» Netanyahu arriva a Washington avendo alle spalle una situazione politica più che problematica: il numero di persone positive al virus Sars-CoV-2 è tale da indurre un altro lockdown e la popolazione ritiene il primo ministro responsabile della situazione politica difficile degli ultimi mesi.

PREOCCUPATO per i processi che dovrà affrontare a partire dal prossimo gennaio, il primo ministro cerca di screditare i tribunali, l’intero sistema giudiziario, la procura generale e la polizia. Tutto pur di salvarsi dal carcere, mentre è sempre più chiaro che pochi credono ormai alle sue bugie quotidiane. La sua caduta sembra inevitabile; le divergenze fra le componenti della coalizione governativa aumentano, la maggior parte degli israeliani ha la sensazione che nulla funzioni, il caos domina e il futuro si presenta cupo su tutti i fronti.
La crisi economica ha fatto crollare l’appoggio al sistema e le numerose manifestazioni contro il governo – e più specificamente contro la «famiglia reale» – sono un fatto prima sconosciuto, nuovo, problematico che preoccupa non poco il partito di governo e il premier.

DAL MOMENTO che nessuno crede a Netanyahu, è diventato difficile capire che al di là delle menzogne relative all’accordo, si tratta di un cambiamento profondo per Israele e gli israeliani; anche dopo gli accordi con Egitto e Giordania, la sensazione dell’accerchiamento, non solo territoriale, era sempre presente. Ora questo cambia.
Il teatrino della Casa bianca era pieno di sorrisi, le tre reti televisive israeliane trasmettevano l’emozione degli attori principali.
Netanyahu era radioso, senza il coronavirus, i manifestanti chiassosi e i palestinesi a guastargli la festa. Ma poi, che peccato!, tutti i canali israeliani hanno dovuto interrompere la diretta per annunciare la caduta di missili nel Sud. I soliti palestinesi…

I PALESTINESI non sono arrivati a Washington ma si sono fatti sentire, gridando al tradimento da parte dei paesi arabi. Nell’ambito della sinistra hanno avuto appoggi. Ma si dimentica che la leadership palestinese, Autorità nazionale e Hamas, è divisa e priva di una strategia chiara. Per gli smemorati: l’Egitto concluse la pace con Israele e fu criticato e isolato dagli altri paesi arabi. Alcuni anni dopo fu il turno della Giordania; e Arafat alla guida dell’Olp firmò un problematico accordo di pace.
Quando lo screditato Abu Mazen boicotta gli Stati uniti o parla di tradimento da parte dei paesi arabi… cosa pensa dell’«appoggio forte e attivo» da parte dei paesi europei? Pochi scendono a protestare nelle strade palestinesi e non pochi pensano ai 300mila palestinesi che lavorano negli Emirati e mandano denaro alle famiglie nei territori occupati.

L’IRAN È MOLTO presente in questa storia, anche se non viene nominato. Geografia: Bahrein e gli Emirati, insieme all’Arabia saudita, si sentono minacciati dall’Iran, così vicino, e sono strettamente legati agli interessi dell’imperialismo statunitense. Da 25 anni Israele ha contatti importanti e stabili con gli Emirati.
L’Iran e l’economia statunitense sono le due chiavi per comprendere la forte «simpatia» da parte di Trump.
Durante la presidenza di Ronald Reagan negli anni 1980, la lobby pro israeliana reagì furiosamente contro il piano di vendere gli aerei Awacs all’Arabia saudita. Ci furono pressioni, gli israeliani non volevano, criticavano, ma una lucrosa commessa è più importante dei «valori comuni».
Trump può dire agli statunitensi che è stato concluso un accordo formidabile. L’accerchiamento dell’Iran e i timori per la stabilità degli alleati sono una delle chiavi utilizzate per arrivare agli accordi.

I PALESTINESI? Anche prima degli ultimi missili, Trump ha imposto un prezzo – basso – agli israeliani e Netanyahu si è visto obbligato a «posticipare» l’annessione. Questo ha fatto infuriare gli alleati dell’estrema destra israeliana. Ma molti sanno quello che tanti leader europei e persone di sinistra dimenticano: l’annessione era simbolicamente molto importante, ma nel concreto gli orrori quotidiani dell’occupazione vanno avanti e i palestinesi continuano a pagare non solo per i crimini di Israele e dei suoi alleati ma anche per una leadership disastrosa per la quale gli interessi nazionali tuttora non prevalgono.

LO RIPETIAMO: senza unità fra i palestinesi e senza un’analisi reale della situazione, niente potrà davvero cambiare.
Anche la sinistra israeliana dovrà tornare all’analisi politica e non potrà continuare a rifugiarsi nella visione ormai romantica dei «due Stati» o di uno Stato unico senza un’analisi profonda dei rapporti di forza, degli interessi in gioco e delle menzogne alle quali siamo abituati.
Quest’accordo, molto problematico, che soddisfa fondamentalmente gli interessi imperiali e personali dei due leader potrebbe anche avere conseguenze insperate: mandando in frantumi il mito secondo il quale «tutti gli arabi ci vogliono far fuori» e indebolendo il muro di odio e veleno nel quale viviamo ogni giorno.