Un lungo editoriale sul New York Times di ieri forse ha colto nel segno: il vertice Nato di Bruxelles è solo l’aperitivo del vertice del 16 luglio tra Putin e Trump che sarà incentrato sulla Corea del Nord, un successo che il presidente americano vuole portare casa con il sostegno di Mosca (e di Pechino). Per il resto – Ucraina, Siria, sanzioni – si vedrà. Intanto in Russia arriva oggi Benjamin Netanyahu, per discutere con il capo del Cremlino di Iran, Siria e Golan, mentre per le cronache nostrane è atteso anche il corifeo Giancarlo Giorgetti, braccio destro di Salvini che domenica vedrà il lider màximo dei nostri tempi, l’unico per altro che negli ultimi vent’anni ha vinto una guerra mantenendo al potere a Damasco Bashar al Assad e che oggi si gioca pure la carta diplomatica del Mundial calcistico.

Nell’ottica di Trump quella di Bruxelles è una visita ai “parenti serpenti” del fronte europeo. Già il suo predecessore, il simbolo globalista Barack Obama, aveva intrapreso una traiettoria di contrapposizione con gli alleati della Nato che aveva definito «free-riders», degli “scrocconi” che usufruiscono delle spese del Pentagono e godono dei benefici che gli americani possono garantire in termini di sicurezza.

Siamo di fronte a una prospettiva assai controversa. Invece di protestare perché gli Usa chiedono un aumento delle spese militari per contribuire all’Alleanza, secondo Trump dovremmo ringraziare Washington per averci portato in casa le guerre più devastanti di questo inizio millennio, a partire dall’Iraq nel 2003, per proseguire con la Siria e la Libia nel 2011, dove per la verità hanno cominciato i francesi e fu poi la Nato a prendersi carico dei raid contro il Colonnello Gheddafi.

Chissà se queste cose le hanno dette agli americani i nostri due eroi del presente, Di Maio e Salvini, ospiti qualche giorno fa al party dell’ambasciatore americano a Villa Taverna. C’è da dubitarne.

Non è vero come dice Trump che non contribuiamo abbastanza. L’Italia di Berlusconi, su spinta decisiva del presidente Napolitano, nel 2011 si accodò ai bombardamenti contro il suo maggiore alleato nel Mediterraneo che aveva ricevuto a Roma in pompa magna soltanto sei mesi prima. Non si era vista una simile giravolta dalla Seconda guerra mondiale. L’aviazione italiana allora fece centinaia di missioni in base al ricatto che i terminali dell’Eni di Mellitah erano stati inseriti tra i bersagli della Nato da colpire.

Gli italiani sono così fedeli alla Nato da arrivare al suicidio: durante la guerra del Kosovo bombardammo anche la fabbrica Fiat della Zastava di Kragujevac. Ho ancora il video autoprodotto dagli operai serbi. Sono cose spiacevoli da ricordare ma gli Usa, la Nato, i francesi e gli inglesi dovrebbero contribuire a rifondere i danni che ci sono stati fatti e chi siamo fatti, compresa l’attuale deriva del governo nazional-populista.

In realtà a noi la Nato serve soltanto come una sorta di licenza per esportare le armi della Finmeccanica e mantenere un po’ di ricerca tecnologica e posti di lavoro. Ma forse serve ancora di più alla Francia di Macron che è il secondo esportatore di armi al mondo dopo gli Stati Uniti: anzi Macron, pur avendo silurato l’ambasciatore a Budapest, ritenuto troppo filo-ungherese, è più furbo di Salvini perché di recente è riuscito a vendere armi persino a Viktor Orbàn che il presidente francese in pubblico critica aspramente sulla questione dei migranti. Sarebbe equo quindi che i francesi contribuiscano più di noi alla Nato, insieme alla Germania, duramente ammonita da Trump perché ha il braccino corto.

Trump ha sparato due tweet contro gli alleati europei contestando lo scarso impegno nella spesa militare e il surplus commerciale sofferto dagli Stati Uniti con l’Ue. Un attacco diretto alla Germania, accusata di raggiungere solo l’1% del Pil in investimenti militari contro il 4% americano; poi Trump ha lamentato il peso dell’alleanza sugli Usa, che «pagano per il 90% della Nato» e soffrono sul commercio.

Mescolare commercio e sicurezza è un metodo che Trump ha già usato con Corea del Sud e Giappone. E ora lo impiega con i vassalli europei. Sembra proprio che il presidente americano abbia come linea guida della sua politica estera una sofisticata battuta di Guido Nicheli, il «cumenda» lombardo reso celebre dai film di Vanzina e del compianto Carlo: «Lavoro, guadagno, pago e pretendo». Mai prendere sottogamba la commedia all’italiana.