Lunghe code alle pompe di benzina come pure di fronte a negozi alimentari e a quelli che vendono prodotti per la casa, dai detersivi alla carta igienica. Le nuove misure di guerra economica adottate contro l’isola dall’amministrazione Trump colpiscono duro. E in una fase in cui Cuba si trova ad affrontare anche una drammatica crisi di liquidità.

Dallo scorso fine settimana vi è di nuovo scarsezza di carburante, specialmente diesel. In questo caso però, a differenza di quanto accaduto alla fine dell’anno scorso, il governo non ha emesso comunicati per spiegare se si tratta di una «crisi contingente» o se si adotteranno misure di razionamento. Molti abitanti dell’Avana si sono accorti della situazione dagli allarmi comparsi nelle reti sociali – WhatsApp o Telegram – da parte di gruppi che si scambiano informazioni su quali stazioni di servizio hanno ancora carburante o sul probabile arrivo di un camion cisterna.

Solo martedì il quotidiano del Pc Granma ha pubblicato un articolo (Los gringos cierran la llave para culparnos) per spiegare che la nuova crisi di carburante deriva dal blocco statunitense alle navi cisterna dirette all’isola. In generale la tesi è accettata dalla popolazione, ma certo con molta ansia e una crescente quota di malumore. A questa situazione si aggiunge infatti a una scarsezza di forniture alimentari basiche – pollo, riso, fagioli neri, latte – e di prodotti per la pulizia. E le nuove forniture comportano un preoccupante aumento dei prezzi – il riso da 4 a 7 pesos la libbra (poco più di un euro al chilo), la carne di maiale a poco più di tre euro al chilo. Prezzi alti per salari medi che non raggiungono i 30 euro al mese.

«In generale le misure che sta varando il governo sono valide: dare autonomia all’apparato produttivo per stimolare la produzione, soprattutto dei settori che possono sostituire le importazioni. Ma la grave crisi di liquidità rende assai difficili gli investimenti», sostiene l’economista Douglas Tamayo. Cuba importa prodotti – soprattutto alimentari – per quasi due miliardi di dollari, più o meno come gli investimenti esteri. «Negli anni scorsi -secondo le direttive dell’allora presidente Raúl Castro – il governo ha onorato le tranche del debito da pagare al Club di Parigi (dopo l’accordo del 2015 che riduceva il debito da 11 a 2,5 miliardi di dollari da pagare in tranche fino al 2033, ndr). Ma a causa delle tremende sanzioni del presidente Trump non sono state pagate le ultime tranche» continua Tamayo, citando l’agenzia Reuters.

Il vicepresidente Ricardo Cabrisa avrebbe fatto un viaggio lampo in Europa per affrontare questa crisi ed evitare che il Club di Parigi applichi alti interessi, sostiene una fonte diplomatica. Il governo ha infatti urgente bisogno di accedere a investimenti esteri e non facendo parte né del Fondo monetario internazionale né della Banca mondiale deve mantenere la sua credibilità nell’onorare i debiti.

Agli attacchi ripetuti dell’amministrazione Trump si aggiungono anche quelli dei falchi anticastristi. Il più insidioso è quello proposto da Alex Otaola, un influencer cubano di Miami che ha un programma quotidiano su You Tube seguito da più di 10 mila persone, che ha proposto una campagna contro le rimesse e invii di pacchetti dalla Florida a Cuba. Secondo il The Havana Consulting Group l’isola nel 2018 ha ricevuto circa 6,6 miliardi di dollari come rimesse e invii di mercanzie dall’estero, il 90% dagli Usa. Le rimesse costituiscono la seconda fonte di ingresso del governo cubano dopo l’export di servizi, soprattutto medici. Ma questa fonte di liquidità è in pericoloso calo a causa dei nuovi governi di destra (Bolsonaro in Brasile e la golpista Añez in Boliva, ma c’è anche il voltafaccia di Lenin Moreno in Ecuador) che hanno di fatto espulso i medici cubani. Così la ministra del Commercio interno Betsy Diaz Velás ha affermato che Cuba deve scegliere tra comprare prodotti per l’igiene (detergente, sapone ecc) o petrolio e alimenti.

Una scelta drammatica in una fase in cui l’amministrazione Trump «stringe la vite» con la tesi che Cuba sostiene «il dittatore Maduro» in Venezuela e nella quale si rifanno vivi – con l’appoggio della Casa bianca – i falchi di Miami. Anche la situazione latinoamericana è fonte di preoccupazione con gli alleati di Cuba in difficoltà – il Messico del presidente López Obrador tra l’incudine di Trump e il martello dei cartelli della droga, l’Argentina dei Fernández con l’assoluta priorità economica di far fronte al gigantesco debito con l’Fmi – e uno stuolo di nemici sempre più aggressivi.

Gli infuocati appelli dell’influencer Otaola dividono sia la comunità cubanoamericana sia la dissidenza interna all’isola. Ma la maggioranza ha accolto con scetticismo o una netta opposizione la proposta di tagliare le rimesse. Anzi l’invio di soldi (Trump ha limitato la quantità a 1000 dollari l’anno e solo per i parenti) e soprattutto di generi di prima necessità da parte della comunità cubana della Florida sono aumentati, soprattutto con l’appoggio della Chiesa cattolica.

E il governo cubano si rivolge soprattutto all’Europa, preoccupata delle misure extraterritoriali che comportano le ultime sanzioni anti-Cuba di Trump. L’ultima colpisce Gabriel Escarrer Jaume vicepresidente del gruppo Meliá (35 hotel nell’isola): «Una vera e propria barbarie… contro ogni legge internazionale» sostiene Alberto Navarro, ambasciatore dell’Ue nell’isola.