I palestinesi, sostiene Donald Trump in un’intervista, «non cercano di fare la pace». Però «non sono sicuro che Israele stia cercando la pace» aggiunge subito dopo il presidente americano che poi, a proposito degli insediamenti coloniali israeliani, commenta che «sono qualcosa che complica moltissimo, hanno sempre complicato la pace. Penso quindi che Israele debba fare molta attenzione con gli insediamenti». Parole che non possono passare inosservate perché sono state pronunciate dal capo dell’Amministrazione Usa che, persino più delle precedenti, ha fatto del sostegno a Israele e alle sue politiche una delle ragioni del suo mandato. Senza dimenticare che Trump appena due mesi fa, in violazione del diritto internazionale, ha riconosciuto unilateralmente Gerusalemme capitale di Israele. Tuttavia la Casa Bianca mentre da un lato lancia qualche blando ammonimento al governo israeliano, dall’altro avrebbe avviato colloqui con Tel Aviv su una possibile annessione a Israele degli insediamenti, quindi delle ampie porzioni della Cisgiordania palestinese dove si concentrano le colonie.

«Posso dirvi che è da un po’ che ne parliamo con gli americani», ha rivelato Netanyahu durante un incontro del suo partito, il Likud. «Per questa questione – ha proseguito – sono guidato da due principi.. un coordinamento ottimale con gli americani, le cui relazioni con noi sono una risorsa strategica per Israele e gli insediamenti, e che deve essere una iniziativa del governo e non una privata perchè sarà un passo storico». Netanyahu ha cercato di placare i malumori nella destra, causati dall’intervento con cui domenica ha bloccato un progetto di legge volto ad applicare la sovranità israeliana su tutti gli insediamenti ebraici. Gli Usa non devono aver gradito il passo fatto dal premier israeliano. Preferiscono tenere i colloqui nell’ombra, per poi uscire allo scoperto a giochi fatti come è avvenuto per Gerusalemme. Così ieri un funzionario governativo israeliano si è affrettato a «precisare» che Netanyahu non ha presentato alcuna proposta all’Amministrazione Trump la quale, da parte sua, non ha espresso alcun parere su questo punto.

Ma in Medio oriente anche le pietre sanno che il riconoscimento Usa di gran parte delle colonie e l’annessione a Israele di porzioni di Cisgiordania sono un tema sul tavolo da almeno un anno, da quando i due Paesi hanno definito le parti dei Territori occupati in cui le costruzioni israeliane potranno andare avanti senza limiti e quelle che, nella visione americana, dovrebbero restare ai palestinesi: briciole di terra. Dell’Amministrazione Trump fanno parte sostenitori aperti della colonizzazione israeliana, a cominciare da Jarod Kushner, genero del presidente e inviato speciale in Medio Oriente. Contro questa alleanza strategica Usa-Israele il presidente palestinese Abu Mazen ha cercato di attivare, con risultati incerti, la Russia durante l’incontro con Putin ieri a Mosca.

Sul terreno la situazione resta tesa. Oggi, se non ci saranno altri rinvii, è previsto l’inizio del processo alla ragazza palestinese Ahed Tamimi, arrestata e incarcerata circa due mesi fa per aver schiaffeggiato e dato un calcio a due soldati israeliani davanti alla sua abitazione a Nabi Saleh. La 17enne deve rispondere di ben 12 capi d’accusa. In sua difesa è scesa di nuovo Amnesty International. «Rifiutando di rilasciare Ahed Tamimi le autorità israeliane mostrano di disprezzare il loro obbligo di protezione dei minorenni, sancito dal diritto internazionale», ha dichiarato Magdalena Mughrabi, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord. «Ahed Tamimi – ha aggiunto – una ragazza disarmata, non costituiva alcuna minaccia per i due soldati dotati di armi pesanti e di protezioni».