Spirano ancora venti russi sul Potomac. L’ultimo ad incappare nella questione dei presunti contatti fra il Cremlino di Putin e la campagna elettorale di Donald Trump è stato il controverso ministro della giustizia Jeff Sessions, dopo le rivelazioni sui suoi incontri riservati con l’ambasciatore russo a Washington.

Sessions è stato fra i primi e più entusiasti sostenitori di Trump nel senato, diventando una sorta di membro onorario della sua campagna elettorale, accompagnandolo spesso nei suoi comizi ed operando per sua stessa ammissione come «surrogato» per il candidato populista.

Ma su quella campagna grava l’ombra dei non meglio precisati rapporti con la Russia. Numerosi esponenti delle agenzie di intelligence hanno confermato ad esempio la mano dei servizi russi nella manomissione dei dati della campagna di Hillary Clinton e dichiarato che l’hackeraggio delle comunicazioni interne aveva lo scopo di favorire una vittoria di Trump.

Sul caso sono ancora in corso diverse indagini ufficiali fra cui quella del Fbi e la questione è già costata il posto al ministro della difesa inizialmente designato da Trump, il generale Michael Flynn.

Gli incontri di Flynn con l’ambasciatore russo Sergey Kislyak, mentre erano ancora in carica Barack Obama e John Kerry, hanno sollevato un coro di proteste che lo hanno costretto a presentare le dimissioni. Sul destino di Flynn è pesato soprattutto il fatto che avesse ripetutamente negato gli incontri poi confermati.

Sessions si trova ora nell’analoga situazione. Durante le sue udienze di “conferma” ad attorney general la domanda su eventuali contatti con rappresentanti russi era infatti stata posta anche a Sessions, il quale aveva negato ogni rapporto.

Ma questa settimana diversi giornali hanno rivelato che anche Sessions aveva incontrato Kislyak. Inizialmente a luglio e poi a settembre, nel vivo della campagna elettorale in cui, dicono Cia e Fbi, i russi aiutavano Trump.

Alla luce delle rivelazioni, le dichiarazioni precedentemente rese da Sessions sotto giuramento appaiono quantomeno come una falsa testimonianza e in congresso i democratici hanno chiesto anche le sue dimissioni.

Sessions ha sostenuto di aver dimenticato gli incontri in quanto questi sarebbero avvenuti come parte della normale amministrazione della propria carica di senatore, non in qualità di rappresentante di Trump.

Per deflettere le critiche Sessions si è autosospeso da ulteriore indagine in merito; l’Fbi che sta indagando sulla connection russa infatti dipende dal suo ufficio. Trump ha parlato di semplice malinteso e denunciato la caccia alle streghe contro il ministro ma la questione per lui è destinata a rimanere una spina nel fianco.

Ieri un delegato alla sicurezza nazionale per la campagna Trump, AJ Gordon, ha rivelato che la scorsa estate, nello stesso periodo in cui Sessions incontrava Kislyak, l’ambasciatore, a capo di una delegazione russa, era alla convention repubblicana a Cleveland.

Gordon ha raccontato che durante la convention i trumpisti hanno chiesto ed ottenuto che venisse rimossa dal testo del programma ufficiale l’assistenza militare all’Ucraina, lasciando intravedere un primo concreto movente russo per le presunte collusioni.