Donald Trump ha nuovamente messo in guardia gli Stati uniti (e il mondo intero) riguardo la concreta – secondo lui – possibilità di assistere a un altro attacco come, se non peggiore, di quello dell’11 settembre su territorio americano. Sempre che si continui ad accogliere i rifugiati: «Il nostro Paese ha già abbastanza difficoltà in questo momento senza lasciare che i siriani vi si riversino», ha dichiarato il candidato repubblicano in una intervista sul podcast di National Border Patrol Control, domenica mattina.

Non pago, ha insinuato che sia l’Isis a pagare i contratti telefonici dei rifugiati siriani: «Tutti i rifugiati sono dotati di telefoni cellulari: quindi, per intenderci, questi non hanno soldi, non hanno nulla, ma hanno i telefoni cellulari – ha detto Trump – Ma chi paga per le loro spese mensili? Hanno telefoni cellulari con sopra le bandiere di Isis». Per chi, una volta nominato o vicino la nomination, stava preparandosi ad un Trump presidenziale, eccovi serviti. Questo è Trump: assiomi di volgare ignoranza veicolati come certezze politiche.

Per Trump rifugiati e terroristi sono la stessa cosa, e anche i musulmani lo sono, incluso Sadiq Khan, il nuovo sindaco di Londra: anche lui in quanto musulmano, è un terrorista. Con Khan il candidato repubblicano è già passato agli insulti diretti. Durante la trasmissione televisiva Good morning Britain, riferendosi ai commenti di Khan riguardo la visione dell’Islam di Trump, «the Donald» ha dichiarato: «Lui non mi conosce, non mi ha mai incontrato, non sa niente di me e le sue sono dichiarazioni molto maleducate e, francamente, ditegli che ricorderò queste dichiarazioni».

Ha poi sfidato Khan a sottoporsi a un test di intelligenza. Quest’ondata di diplomazia arriva il giorno dopo la pubblicazione del New York Times di una serie di dichiarazioni e testimonianze di donne che con diversi ruoli e in tempi diversi, hanno avuto a che fare con Trump.

Modelle, miss, manager, assessori della città di New York, avvocati, tutte di sesso femminile le cui carriere ad un certo punto si sono incrociate, anzi, per lo più sono dipese dal loro rapporto con Trump. Il quadro che ne risulta è sconfortante. La filosofia ripetuta nel tempo del peggior stereotipo di maschio Alfa possibile.
Accondiscendente, paternalista, con una spasmodica attenzione per l’aspetto fisico (delle donne, il suo non è in discussione), dove il maggior complimento rivolto a donne che aveva messo ai vertici della sua attività è stato: «Gli uomini valgono più delle donne, ma quando una donna è in gamba lo è più di dieci uomini».
Ora, provate a sostituire la parola «donna» con la parola «nero» e si può facilmente capire l’effetto che fa.

Questo per le manager che comunque sono tutte «cara» e «tesoro», perché le altre hanno come parametro di valutazione il criterio di 90-60-90 da miss post bellica.
Melania, adorata figlia, inclusa, che quando era sedicenne è stata definita «hot» dal suo stesso padre, che a quanto pare non ha un altro parametro valutativo se si tratta di donne.

Il lungo approfondimento del New York Times ha innervosito molto Trump che ha subito risposto tramite il suo mezzo preferito, Twitter, dove si è messo a bacchettare il Times rivendicandosi come «femminista» e additando tutti come «disonesti» e cercando quindi, di trasformare un’inchiesta sul suo rapporto con le donne, in un dibattito sulla professionalità o meno del maggiore quotidiano americano.

Nel frattempo oggi, 17 maggio, si vota in Oregon: il candidato unico del partito repubblicano Trump vincerà e terrà un nuovo discorso che verrà definito «presidenziale» perché in assenza di contraddittorio Trump è un despota magnanimo che ama esser benevolente e pacato, ma non è un tono in doppiopetto a fare di un costruttore miliardario il presidente del mondo libero, specialmente perché questo tono non regge più di un discorso a settimana.