Gerusalemme torna al centro dell’attenzione. Washington ieri ha completato il trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv nella città santa voluto dall’Amministrazione Trump. Ed ha anche chiuso il consolato americano che per decenni è stato una sorta di sede diplomatica statunitense per i Territori palestinesi occupati. Un passo mosso mentre di Gerusalemme e della protezione dei luoghi santi hanno discutevano a Baghdad il capo di stato iracheno, Barham Salih, e il presidente palestinese Abu Mazen. Gerusalemme intanto non sembra più un ostacolo nelle relazioni tra Indonesia e Australia che hanno firmato l’accordo di partenariato economico dopo un ritardo di mesi dovuto anche al disappunto degli indonesiani per la decisione del primo ministro australiano, Scott Morrison, di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. A dicembre però Morrison ha chiarito di riconoscere solo la parte ebraica della città come capitale di Israele e che il trasferimento dell’ambasciata australiana non avverrà fino a quando palestinesi e israeliani non arriveranno ad un accordo.

Il Dipartimento di Stato ha provato a ridimensionare la portata della chiusura del consolato Usa e del trasferimento definitivo a Gerusalemme dell’ambasciata. «Vogliamo aumentare l’efficienza dei nostri impegni diplomatici, non è un segnale di cambiamento della politica americana su Gerusalemme, la Cisgiordania o la Striscia di Gaza», ha spiegato il portavoce Robert Palladino. Invece il cambiamento è molto netto. Da ieri le questioni palestinesi saranno affrontare da un ufficio che fa capo all’ambasciatore Usa, David Friedman, convinto sostenitore e finanziatore del movimento dei coloni israeliani. Il solco tra palestinesi e Usa si amplia. Già a ottobre, quando il segretario di Stato Mike Pompeo aveva annunciato la chiusura del consolato, il segretario dell’Olp Saeb Erekat aveva parlato di «ultimo chiodo nella bara» della mediazione americana nel conflitto. Ieri Erekat è tornato all’attacco. «Questo nuovo passo – ha commentato – non ha nulla a che fare con l’efficienza, piuttosto riguarda il piacere di un team ideologico statunitense che vuole frantumare le fondamenta del sistema internazionale».

Nel frattempo il genero e inviato per il Medio oriente Jared Kushner prosegue gli incontri in vista della presentazione del piano di pace Usa, il cosiddetto “Accordo del Secolo”, dopo le elezioni israeliane del 9 aprile. Cosciente che i palestinesi non lo accetteranno mai – stando alle indiscrezioni prevede l’autonomia amministrativa di Gaza e di alcune aree palestinesi in Cisgiordania e la fine del diritto al ritorno dei profughi (in cambio di un risarcimento economico) –, Kushner nei giorni scorsi ha provato a vendere il piano ai sauditi, i turchi e ad altri nella regione, non si sa con quale risultati, per isolare i palestinesi.

Ciò di cui il genero di Trump non è cosciente è la tensione in costante aumento nella Cisgiordania occupata. Ieri non lontano da Ramallah un drappello di soldati israeliani ha ucciso due giovani, Amir Darraj e Youssef Anqawi, entrambi ventenni. Secondo la versione israeliana, due soldati erano fermi sul lato della strada vicino all’uscita dal villaggio di Niima quando sono stati investiti intenzionalmente e feriti da un’automobile palestinese. Gli altri militari presenti hanno aperto il fuoco uccidendo due delle tre persone all’interno dell’auto. I palestinesi smentiscono categoricamente che i due colpiti a morte fossero degli attentatori. Ripetono che i due erano solo dei manovali che si stavano recando al lavoro e che causa delle cattive condizioni stradali hanno perso il controllo del loro veicolo. Netanyahu ha annunciato che farà in modo da accelerare la demolizione delle case dei due “terroristi”. I palestinesi chiedono alla Corte penale internazionale di indagare anche su questo episodio nel procedimento che invocano da tempo contro Israele.