Il secondo impeachment di Donald Trump è cominciato, in un Capitolo Hill ancora militarizzato, circondato da recinzioni rivestite da filo spinato e con la guardia nazionale pronta ad intervenire in caso di necessità.

A essere sotto processo sono le azioni dell’ex presidente che sono poi la ragione per cui il Congresso deve essere difeso da molteplici livelli di sicurezza, in un raro esempio di causa-effetto.

NONOSTANTE L’EVIDENZA delle ragioni per cui Trump è sotto accusa, il processo di impeachment è iniziato con quattro ore di dibattito al Senato, seguite da una votazione sulla costituzionalità del processo che, per passare, ha bisogno di una maggioranza semplice: è avvenuta nel tardo pomeriggio americano, troppo tardi per noi.

Ma l’esito era scontato: anche se di pochissimo, i democratici hanno la maggioranza al Senato. In una risposta scritta, lunga 33 pagine e indirizzata al team legale di Trump, i dirigenti della Camera (i senatori che svolgono il ruolo di accusa) hanno detto di non vedere «una buona difesa riguardo l’incitamento all’insurrezione contro la nazione che ha giurato di proteggere» e che il tycoon cerca di riversare la colpa sui suoi sostenitori, ricorrendo a dubbie teorie legali.

NELLE ORE PRECEDENTI all’avvio del processo al Senato, i dirigenti della Camera hanno sostenuto che a essere viziato è proprio il principio su cui si basa la linea difensiva di Trump, la difesa della libertà di espressione: il comizio del 6 gennaio, in cui Trump ha invitato ad assaltare il Campidoglio per sovvertire il risultato delle elezioni, non può essere considerato un caso di libertà di espressione che rientra nel primo emendamento.

«Il primo emendamento protegge il nostro sistema democratico, ma non protegge un presidente che incita i suoi sostenitori a mettere in pericolo quel sistema con la violenza», hanno scritto i dirigenti della Camera.

L’accusa ha cercato di smantellare l’argomento avanzato da molti repubblicani e dagli avvocati di Trump, secondo cui sarebbe incostituzionale mettere sotto accusa un presidente dopo che ha lasciato l’incarico: «Nelle ultime settimane o giorni di un presidente, le opportunità di interferire con il trasferimento pacifico del potere sono più presenti».

ASSODATO che un ex presidente può essere processato e che il primo emendamento non tutela l’incitazione alla rivolta, oggi cominciano giorni di discussioni, a cui farà seguito un periodo in cui i senatori potranno interrogare le due squadre legali, poi altri dibattiti, le discussioni conclusive e infine la deliberazione.

Durante il processo, senatori e testimoni rivisiteranno gli eventi del 6 gennaio, sicuramente le parti più emotive del processo. L’esito dell’impeachment è scontato: per condannare Trump non basta la maggioranza semplice, i Dem avrebbero bisogno di 17 voti repubblicani, molto difficili da ottenere.

PER AFFRONTARE questa nuova pagina della politica Usa i Dem, per ora almeno, si presentano come un blocco compatto, dopo che le primarie di 15 mesi fa avevano evidenziato le divisioni profonde nel partito.

Di questo effetto indiretto dell’impeachment ne gode il presidente Biden che vive un’insperata luna di miele con l’ala progressista che aveva trascorso mesi a prepararsi a spremere la nuova amministrazione. Ora però il fine è rimettere in piedi il Paese segnato dalla pandemia e 4 anni di Trump.

Per i repubblicani, invece, è un test sul corso che vuole abbracciare il partito, se tornare ai valori conservatori o se proclamarsi leali a Trump facendo del Gop un nuovo partito di estrema destra.