«Rifiutarsi di incontrare l’oppressore non è una mancanza di rispetto, è un segno di rispetto di se stessi». È stata secca e immediata la replica di Hanan Ashrawi, del Comitato esecutivo dell’Olp e storica portavoce palestinese, a Donald Trump che ieri a Davos, incontrando il premier israeliano Netanyahu, ha accusato i palestinesi di mancanza di rispetto nei confronti del vice presidente Usa Mike Pence che non hanno voluto incontrare durante la sua visita nella regione.

Trump ha ribadito la sua minaccia di bloccare gli aiuti Usa all’Anp se il presidente Abu Mazen non andrà a negoziare, senza condizioni, con Israele. Minaccia respinta al mittente da Nabil Abu Rudeina, portavoce di Abu Mazen, che ha confermato che non ci sarà un incontro a meno che la Casa Bianca non ritiri il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele. «La minaccia della politica di fame e sottomissione non funzionerà con il popolo palestinese» ha detto Abu Rudeina «e se la questione di Gerusalemme è fuori dal tavolo gli Usa resteranno fuori da quel tavolo». Il portavoce dell’Anp ha spiegato che i palestinesi non rifiutano la trattativa ma «sono pronti a impegnarsi in negoziati solo se basati su uno Stato palestinese con Gerusalemme est capitale».

Si aggrava con il passare dei giorni lo scontro tra palestinesi e Stati Uniti provocato dalla dichiarazione su Gerusalemme fatta da Trump a dicembre. E Washington spara a zero proprio su Abu Mazen descritto non più come un leader moderato bensì come un estremista. Megafono di questa linea dura è in particolare l’ambasciatrice Usa all’Onu Nikki Haley. «Abu Mazen ha insultato il presidente americano» ha detto ieri Haley durante una riunione del Consiglio di Sicurezza. A suo dire al leader palestinese mancherrebbe «il coraggio e la volontà di cercare la pace».