Gli americani la chiamano «nuclear football» o «il biscotto»: si tratta della borsa nera – agganciata perennemente alla mano di un militare che accompagna in ogni luogo il numero uno di Washington – che contiene i codici per lanciare un attacco nucleare. Poco prima dell’elezione di Donald Trump lo stesso Obama aveva chiesto agli elettori se fossero sicuri di voler lasciare questo potere nelle mani del tycoon di New York. In molti avevano sbeffeggiato Obama e chiunque giudicasse Trump un pericolo, perché in fondo, veniva detto, le parole di Donald riguardo la Russia e l’ipotetica amicizia con Mosca sembravano portare a una politica estera meno traumatica di quella messa in atto da Obama e la sua amministrazione.

IL PROBLEMA È CHE TRUMP non è solo imprevedibile, ma è anche intimamente connesso a tutto quel mondo che dice di voler combattere: non sorprende dunque che nel corso di due interventi, un’intervista con la Reuters e un discorso alla «Conferenza annuale di azione politica dei conservatori» Trump abbia detto nell’ordine: che gli Stati uniti devono aumentare il proprio potenziale nucleare e che analogamente gli Usa devono rendere più forte, il più forte di tutti naturalmente, il proprio esercito. Perché, ha specificato Trump, «io credo nella pace ottenuta con la forza». Reazioni molto negative sono subito arrivate da Mosca.

E di sicuro il Cremlino ha da tempo capito l’andazzo: Donald Trump anziché agire diplomaticamente per un mondo pacifico e relazioni paritarie e cordiali, ha chiaramente come obiettivo quello di puntare i suoi «nemici», primi fra tutti l’Iran. E un passaggio intermedio non può che essere quello di «testare» la Russia. Non a caso nei giorni scorsi il presidente ucraino Petro Poroshenko, acerrimo nemico di Putin, si è detto soddisfatto del «ponte» che si starebbe costruendo con gli Usa. Trump dunque non si smentisce e conferma quanto incarna: una volontà dominante da parte degli Usa in campo internazionale, benché da realizzare in modo differente rispetto al passato, con altre priorità, dipendenti dal gruppo di potere che Trump rappresenta (l’establishment uscito a pezzi dai processi globali).

SUL NUCLEARE, l’intervista di Trump alla Reuters ha presto fatto il giro del mondo. Il capo della Casa bianca, nonostante avesse detto in precedenza di voler ridurre, con un patto con la Russia, gli arsenali atomici, ha spiegato che mantenere gli Usa al «top of the pack», nella posizione più forte, «è una necessità: sono il primo – ha spiegato – che non vorrebbe vedere nessuno, dico nessuno, con la bomba nucleare, ma non rimarremo mai indietro rispetto a un altro paese, anche se si tratta di un paese amico». Questo perché «sarebbe fantastico, sarebbe un sogno che nessun paese avesse le nucleari, ma se invece le hanno, allora noi saremo i più forti».

NON È LA PRIMA VOLTA che Trump si addentra in questo tipo di argomenti: lo scorso dicembre, appena eletto, commentando una dichiarazione del collega russo Vladimir Putin sul rafforzamento delle capacità nucleari, Trump disse che gli Usa «devono rafforzare fortemente ed espandere la propria capacità nucleare fino a quando il mondo non rinsavirà riguardo l’arma atomica».

Gli Usa hanno firmato il trattato di non proliferazione atomica nel 1970: oggi ci sono almeno 15mila testate intatte al mondo, anche se solo circa 3.500 sarebbero schierate. Secondo Bbc, tra attive e inattive, gli Usa avrebbero in dotazione 6.500 armi atomiche, la Russia 7.000.

E PROPRIO MOSCA ha reagito con grande veemenza alle dichiarazioni di Donald Trump: il deputato russo Leonid Slutsky, presidente della commissione esteri della Duma ha specificato che

«Le dichiarazioni di Trump sono motivo di preoccupazione – ha detto Slutsky, citato dal sito Sputnik – se Washington vuole veramente la superiorità in campo nucleare, ci sarà un inevitabile peggioramento della corsa agli armamenti e il mondo tornerà alla guerra fredda». Slutsky ha insistito sulla necessità di mantenere «il principio della parità nucleare», aggiungendo di sperare «che tutto ciò rimanga a livello di retorica e notizie stampa, senza influenzare veri progressi su questa questione a Washington». Slutsky ha poi sollecitato la ripresa al più presto dei colloqui sul futuro del trattato Start-3 per la riduzione delle armi nucleari, firmato da Russia e Stati uniti nel 2010. A questo proposito secondo il presidente statunitense, lo «Start-3» è un «altro cattivo affare in cui è entrato il paese».

L’accordo prevede la riduzione dei vettori strategici su entrambi i lati fino a 700 unità e 1.550 testate nucleari. Entrato in vigore nel 2011 dovrebbe essere rinnovato nel 2021.

Non solo la riforma sanitaria, puntata fin da subito, da Donald Trump. Il presidente sta smantellando tutto il corollario di «diritti civili» che Obama aveva provato a realizzare durante i suoi due mandati: nei giorni scorsi la Casa bianca ha annunciato la fine dei diritti transgender dell’era Obama: cancellate le linee guida antidiscriminazione per proteggere gli studenti transgender.

Ieri inoltre è arrivata la notizia sulle carceri private: ritirato l’ordine di ridurre gradualmente il numero di contratti con gli operatori privati di carceri, ritenendo che impedisca di soddisfare le esigenze della popolazione carceraria.

Analogamente l’amministrazione Trump «applicherà con maggiore forza» le leggi federali contro l’uso della marijuana in quegli stati che l’hanno legalizzato.
ALL’INTERNO È GUERRA AI MEDIA: dopo averli definiti in mattinata «nemici del popolo perché non hanno fonti», Trump ha bandito dalla conferenza stampa con il portavoce Spicer alla Casa bianca i giornalisti di Cnn, New York Times, Los Angeles Times e Politico. Immediata la levata di scudi: per solidarietà Ap e Time non hanno partecipato all’incontro con Spicer.