«Ripugnante». Questa parola Mohammad Javad Zarif, ministro degli esteri dell’Iran, l’ha scritta su twitter per rispondere all’esternazione fatta da Donald Trump dopo il doppio attentato dell’Isis mercoledì a Tehran in cui sono morte 17 persone e altre decine sono rimaste ferite. Il presidente americano, mentre nella capitale iraniana si piangevano i morti, non ha trovato di meglio da fare che puntare l’indice proprio contro le vittime. «Gli Stati che sponsorizzano il terrorismo rischiano di cadere vittima del male che promuovono», ha scritto Trump annullando in un solo colpo i toni misurati del Dipartimento di stato che, attraverso la portavoce Heather Nauert, aveva invece sottolineato che «la depravazione del terrorismo non ha posto in un mondo civilizzato e pacifico». Secca perciò la replica di Zarif. «Ripugnante dichiarazione WH (White House, Casa bianca)…mentre gli iraniani affrontano il terrorismo sostenuto dai clienti statunitensi». Chiaro il riferimento a Riyadh.

Qualche ora dopo l’intelligence iraniana ha fatto sapere che sta indagando su un coinvolgimento diretto dei sauditi che, dicono a Tehran, potrebbero essere stati i finanziatori dei cittadini iraniani, forse degli arabi sunniti, tra i 20 e i 25 anni, andati a combattere a Mosul e Raqqa in nome del Califfato e rientrati lo scorso agosto nella Repubblica islamica sciita con l’incarico di compiere un attacco spettacolare e simbolico. In serata il ministro dell’intelligence, Mahmoud Alavi, ha buttato acqua sul fuoco precisando che «la questione è sotto inchiesta» e che è «troppo presto» per affermare un coinvogimento dell’Arabia Saudita. Mercoledì, sulla scia degli attacchi a Tehran, la Guardia rivoluzionaria iraniana aveva accusato i sauditi senza però mostrare prove a sostegno di questa tesi.

L’Iran ora fa i conti con una organizzazione di sicurezza interna che non si è dimostrata impenetrabile già in diverse occasioni. Sono note, negli anni passati, le “morti” misteriose di scienziati impegnati nel programma nucleare nazionale che Tehran ha attribuito al Mossad, il servizio segreto israeliano. Accuse che Tel Aviv non ha mai smentito, anzi in qualche modo le aveva avvalorate riferendo del ruolo svolto dall’ex capo del Mossad, Meir Dagan, nel portare a termine operazioni volte a «impedire a Tehran di dotarsi di armi atomiche» (da parte sua Dagan, una volta terminato l’incarico, si era espresso contro la linea intransigente del premier Netanyahu nei confronti di Tehran). Ieri l’intelligence iraniana si affannava a riferire dei tanti attentati che avrebbe sventato in varie parti del Paese ma il fatto che uomini dell’Isis siano riusciti a colpire nel cuore della capitale, lascia immaginare la presenza in Iran di basi ben organizzate, di “cellule dormienti”, e fa prevedere nuovi attacchi.

L’assalto di due giorni fa è un’ulteriore conferma che l’Isis si sta trasformando da un gruppo che controlla un territorio a uno che opera come una rete internazionale, come indicano i ripetuti attacchi compiuti anche in Europa. E chi ha interesse ad incendiare anche l’Iran non mancherà di finanziare ed appoggiare questa rete terroristica come ha già fatto in Siria e Iraq. Il terrore giunto fin sotto le porte del potere a Tehran rischia peraltro di far vacillare il presidente Hassan Rohani e la sua linea del dialogo. In Iran dopo l’attentato si sono levate voci a favore di una politica più dura nei confronti dei rivali sauditi, appoggiati da Trump, anche nello scontro in atto tra Riyadh e il “cugino” Qatar accusato dal blocco sunnita guidato dalla monarchia Saud di «sostenere gruppi terroristi (Fratelli musulmani) e intrattenere rapporti con l’Iran». Un conflitto lacerante che, malgrado la mediazione svolta dal Kuwait, resta lontano da una soluzione. «Non siamo e non saremo mai disposti a rinunciare all’indipendenza della nostra politica estera» ha detto ieri perentorio il ministro degli esteri di Doha, Mohammed al Thani, che oggi sarà a Mosca per allacciare rapporti più stretti con la Russia che pure, fino a qualche settimana fa, attaccava perché alleata del presidente siriano Bashar Assad.

Oggi mentre nella grande moschea di Tehran si svolgeranno i funerali delle vittime degli attacchi al Parlamento e al mausoleo di Khomeini, nei Paesi vicini si piangeranno altre vittime el terrorismo di cui si parla e si scrive poco. Un’ondata di attacchi targati Stato Islamico ha colpito la provincia orientale irachena di Diyala che confina proprio con l’Iran. Almeno 13 persone sono morte e altre otto sono rimaste ferite in ben cinque attentati a Qara Tabbah e in altre località. In Yemen, dove proseguono i bombardamenti sauditi contro i ribelli sciiti, l’epidemia di colera ha causato sino ad oggi la morte di 789 persone, secondo gli ultimi dati resi noti dall’Oms. Sono stati registrati inoltre 100mila casi di sospetto contagio.