La guerra di classe è dichiarata e le vittime saranno molte. Il bilancio presentato lunedi dall’amministrazione Trump non fa mistero dei suoi scopi: togliere ai poveri per dare ai ricchi. Ma se un tempo questa linea di condotta era in qualche modo mascherata o dissimulata dalla retorica della «crescita» o da quella del «merito», oggi i miliardari saldamente installati alla Casa Bianca non fanno alcun mistero dei loro scopi e tutto ciò che si può razziare va razziato.

Si comincia con i cosiddetti Food Stamps, i buoni governativi che permettono a circa 40 milioni di americani di mettere qualcosa in tavola, la sera. Saranno ridotti di 200 miliardi di dollari nell’arco di dieci anni. Come avrebbe detto Maria Antonietta, se i poveri non hanno pane mangino brioches. Mandare a letto senza cena i disoccupati, le famiglie numerose e gli abitanti dei ghetti non portava però a risparmi sostanziali, nell’ottica degli scherani di Trump, che si sono quindi attaccati a due piatti ben più sostanziosi: l’assistenza medica ai poveri (Medicaid) che si vuole di ridurre di 266 miliardi di dollari, sostanzialmente decretando che gran parte degli assistiti di oggi se la dovrà cavare da sola. Ancora più appetitosa la preda a cui i repubblicani hanno dato la caccia per oltre sette anni: l’assistenza medica privatistica, ma sovvenzionata, più nota come Obamacare. Lì c’è da rosicchiare parecchio perché si tratta di un programma per la classe media, che coinvolge decine di milioni di americani: eliminarlo porterebbe nelle casse federali ben 700 miliardi di dollari.

Guarda caso, la somma di queste tre voci dà circa 1.100 miliardi di dollari, ovvero l’importo delle riduzioni fiscali a vantaggio dei milionari e delle multinazionali, approvato nel dicembre scorso. L’operazione Robin Hood alla rovescia funzionerebbe perfettamente.

 

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Nel bilancio ci sono molte altre cose interessanti, per esempio l’esplosione delle spese militari, che aumenterebbero di 777 miliardi di dollari, sempre nell’arco di dieci anni, grazie a una serie di nuovi programmi di armamento, comprese testate nucleari di nuova generazione, miniaturizzate e quindi più “facili” da usare (si tratta in realtà di un’idea degli anni Cinquanta, che periodicamente si riaffaccia, dimenticando che l’uso anche locale di armi atomiche è sempre stato considerato il primo passo di una guerra nucleare totale). La militarizzazione del bilancio verrebbe compensata da drastici tagli ai finanziamenti per la diplomazia (-27%), per la protezione dell’ambiente (-33%), per la ricerca scientifica (-30%) e perfino per l’Army Corps of Engineers, che si occupa della protezione civile (-22%).

Una delle promesse elettorali chiave di Trump era stata quella di un ampio programma di infrastrutture (si favoleggiava di un miliardo di dollari) che avrebbe dovuto migliorare le pessime condizioni di ponti, strade, dighe e porti. Di questo, nel bilancio 2018 è rimasto ben poco, anzi nulla: se il budget prevede di stanziare 199 miliardi di dollari a questo fine, in realtà vengono eliminati 178 miliardi che normalmente avrebbero dovuto essere destinati ai trasporti, quindi non è chiaro se le spese in infrastrutture aumentino davvero o restino, nel migliore dei casi, stazionarie.

E il deficit? Da decenni i repubblicani quando sono all’opposizione promettono di portare il bilancio in pareggio (promessa fatta anche dal candidato Trump nel 2016). Quando sono al governo si scopre che i deficit esplodono per i tagli delle tasse e per l’aumento delle spese militari, costituendo peraltro un ottimo pretesto per chiedere la riduzione della spesa sociale in nome, appunto, del deficit eccessivo. Se il deficit di bilancio ereditato dall’amministrazione Obama era del 3,5% del Pil, nel giro di soli due anni Trump vorrebbe portarlo al 4,7%, cioè farlo aumentare di circa un terzo.

In realtà, il deficit effettivo sarà con ogni probabilità superiore, e di molto, perché mentre in Congresso c’è ampio consenso sull’aumento delle spese militari, la resistenza a tagliare i programmi sociali è assai più robusta. L’anno scorso il tentativo di eliminare Obamacare fallì per tre senatori repubblicani e oggi il partito ha una maggioranza di soli 51 seggi su 100, una maggioranza per nulla compatta, almeno sui programmi di assistenza popolari come Medicaid.

Per concludere, va detto che il bilancio presentato illustra perfettamente la filosofia dell’amministrazione Trump ma difficilmente verrà votato dal Congresso in quella forma. Chi tiene i cordoni della borsa sono la Camera (dove la maggioranza repubblicana attuale potrebbe svanire dopo le elezioni del prossimo 6 novembre) e il Senato (dove, come detto, i numeri per affondare il coltello nei buoni pasto o nelle medicine per gli anziani quasi certamente non ci sono).
Comunque vadano i dibattiti e le votazioni in Congresso nelle prossime settimane, però, l’intento di Trump e dei suoi collaboratori (banchieri e generali, per chi l’avesse dimenticato) è chiarissimo: la guerra sarà lunga e farà scorrere molto sangue e molte lacrime.