Casse di via Bellerio aperte e «nuovo partito» al chiuso. La Lega Nord del vice premier Salvini si dibatte sempre fra le carte bollate dei tribunali e le stanze riservate al piccolo esercito di fedelissimi del «Capitano».

A Genova, gli avvocati Roberto Zingari e Giovanni Ponti strappano una clamorosa diluizione del sequestro di 48 milioni 969 mila 617 euro confermato dalla sentenza del 6 settembre.

La Procura della Repubblica ha accolto la richiesta di versare nell’apposito conto gestito dalla Guardia di finanza 100mila euro ogni due mesi.

Significa 600mila all’anno, che calendario alla mano vuol dire… 76 anni di rate del debito con la giustizia, in base al processo per la truffa dei rimborsi elettorali 2008-2010 che ha condannato in primo grado Umberto Bossi e l’ex tesoriere del Carroccio Francesco Belsito (rispettivamente a 2 anni e mezzo e a 4 anni e 10 mesi).

«Abbiamo fatto quello che viene fatto in altre procedure analoghe, laddove agiamo in esecuzione. È lo stesso meccanismo che la Procura ha già seguito per i crediti erariali, per cui una società può subire sequestro preventivo» spiega il procuratore Francesco Cozzi.

In compenso, resta aperta l’inchiesta sul flusso di denaro verso il Lussemburgo attraverso la Sparkasse di Bolzano: il procuratore aggiunto Francesco Pinto, la pm Paola Calleri e il colonnello Maurizio Cintura del Nucleo di polizia tributaria hanno ricostruito i documenti relativi al fondo Pharus Management. E le Fiamme Gialle una settimana fa hanno eseguito la rogatoria internazionale nel Granducato.

A verbale sei funzionari di banche e società fiduciarie.

Qui la somma di denaro si aggira sui 10 milioni di euro, per cui scatterebbe eventualmente il recupero immediato.

È quanto segnalava l’esposto firmato il 28 dicembre 2017 da Stefano Aldovisi, ex revisore dei conti della Lega di Bossi. Sostiene che alla chiusura dell’esercizio 2012 in cassa risultavano 40 milioni, mentre a settembre 2017 il primo sequestro finanza ne trova soltanto 3.

Insomma, chiusi i conti (anche politici) con «il padre fondatore» Bossi, nella Lega di Roberto Maroni e poi di Salvini i soldi continuano ad alimentare le indagini della magistratura.

Dal punto di vista squisitamente politico, l’universo che gira intorno allo spadone di Alberto da Giussano è tuttora impantanato nell’identità sospesa.

Vige ancora l’assetto della «Lega Nord per l’indipendenza della Padania», eppure da quasi un anno è stato depositato anche lo statuto della “nuova” Lega formato nazionale di Salvini aspirante premier.

Il «vecchio» partito per essere sciolto ha bisogno di un vero e proprio congresso, tuttavia Salvini si comporta come se la Lega avesse già girato pagina.

E ancora: il tesseramento 2018 si è rivelato una specie di ibrido fra il verde Padania e il blu palazzo Chigi.

Di più: i tesorieri dei gruppi regionali «tradizionali» (come in Veneto) hanno dovuto congelare i versamenti dei consiglieri proprio a causa delle sentenze di Genova.

Infine, non tutti i «militanti» con almeno dieci anni di Lega alle spalle vedono di buon occhio la… pari dignità con berlusconiani in fuga da Fi, romani di «Noi con Salvini» o, peggio, calabresi e siciliani votati al fascio-leghismo del Capitano.

Il primo «imbuto» è rappresentato dal voto in Trentino Alto Adige il 21 ottobre. Replicare il clamoroso trionfo del 4 marzo all’ombra delle Dolomiti equivarrebbe a completare il puzzle di potere leghista a Nord Est, aprendo addirittura lo scenario di un’inedita alleanza «autonomista» con la Svp a Bolzano che scompaginerebbe gli assetti di potere ereditati dai tempi di Bruno Kessler e Flaminio Piccoli.

Un’altra «verifica» sintomatica arriverà poi anche da Padova. Daniele Canella ha già ricevuto l’incarico di riunire il centinaio di militanti della Lega in vista del congresso cittadino da celebrare entro ottobre.

Sarà un dibattito senza diplomazia ma anche la sede ideale per misurare leader e programmi.

C’è il gruppo di Massimo Bitonci, ex sindaco, tuttora capogruppo in Comune, nonostante il ruolo delicato di sottosegretario all’Economia (che da commercialista ha curato l’ipotesi di sanatoria fiscale).

Ma in campo anche i sostenitori Fabrizio Boron, il piccolo imprenditore che in Regione presiede la strategica Commissione Sanità eletto nella lista del governatore Luca Zaia.

Non sarà un braccio di ferro di provincia, se davvero a congresso si misureranno le due anime: la comunicazione di potere assoluto e il «buongoverno» in stile doroteo.