Dopo un testa a testa con i conservatori di centro destra guidati da Andrew Scheer, il primo ministro canadese Justin Trudeau ha superato la prova elettorale, e anche se ha perso la maggioranza, il suo partito liberale ha ottenuto abbastanza seggi per consentirgli di formare un governo.

Da quando il 47 enne Trudeau è salito al potere nel 2015, il Canada ha prosperato: la disoccupazione è al livello più basso degli ultimi decenni, la povertà si è ridotta, la marijuana è diventata legale, il suicidio assistito è stato legalizzato, e sono stati firmati gli accordi commerciali con la Ue, gli Usa, con i Paesi del Pacifico (Tpp). Nonostante ciò la sua campagna di rielezione è stata travagliata, danneggiata da scandali come quello sui suoi sforzi per influenzare un caso di corruzione aziendale, e da dubbi sul suo effettivo progressismo. L’immagine di Trudeau, visto come uno dei pochi progressisti rimasti alla guida di una grande democrazia, è stata ammaccata dalla diffusione di alcune sue foto dove aveva la faccia dipinta di nero, il cosiddetto «blackface», pratica che in Nordamerica è censurabile per via dei suoi legami con lo schiavismo.

Trudeau ha raccolto attorno a sé un sentimento di disillusione, e ha condotto la campagna elettorale percepita come l’occasione di cambiamento mancata, specialmente in ambito ambientalista, perché l’introduzione della carbon tax non ha compensato il sostegno dato a due importanti oleodotti, il Keystone Xl con gli Usa, e quello che collega la costa del Pacifico ad Alberta.

Passato da 184 seggi a 156, Trudeau deve ora fare degli accordi di governo, e l’interlocutore naturale sembra essere l’Npd, il New Democratic Party, di orientamento socialista, guidato dal carismatico indiano sick Jagmeet Singh, il cui partito esce dimezzato da questa tornata elettorale ma che porta comunque 25 seggi. Le cose sono andate molto peggio per il partito di estrema destra, Il Partito Popolare Canadese, che non è riuscito ad eleggere nemmeno il suo leader. La vera sorpresa è arrivata dal Bloc Quebecois, di Yves-Francois Blanchet, il partito separatista presente solo nel francofono Quebec, dove è passato da 10 a 32 seggi.

Blanchet non ha parlato molto della separazione dal Canada durante la campagna elettorale, tranne quando vi è stato costretto dai suoi avversari, privilegiando una narrativa diversa e sostenendo che, se eletto, avrebbe fatto ciò che ha sempre fatto: difendere gli interessi del Quebec. «Siamo persone che sono convinte che un giorno il Quebec sarà sovrano – ha detto Blanchet nell’ultimo giorno della campagna elettorale – Ma non è questo il mandato di queste elezioni. Lo diciamo dall’inizio». Trump si è subito congratulato con Trudeau per «una vittoria meravigliosa e combattuta duramente», dicendo che il Canada è stato «ben servito» dal suo leader.

Durante la campagna elettorale Trudeau aveva cercato di spostare l’attenzione dagli scandali su le differenze tra il suo governo e i conservatori, promettendo di inasprire le leggi canadesi sul controllo delle armi, e ricordando che il Partito conservatore, aveva in programma di abrogare una tassa sul carbonio introdotta dai liberali, mossa che avrebbe rappresentato un precario «approccio del nulla» e una minaccia per il pianeta.

Ora la formazione di uno dei rari, per il Canada, governi di coalizione, sarà il nuovo grattacapo del neo rieletto primo ministro che si troverà a governare con il vento contro, in una situazione che già di partenza si presenta di stallo con i conservatori che, anche se di un solo punto, hanno comunque vinto il voto popolare e che non vorranno deludere la loro base facendo un’opposizione fiacca; se, quando aveva carta bianca, Trudeau non ha portato avanti la politica di sinistra che ci si aspettava da lui, adesso dovrà bilanciare ancora di più.

Si nutrono la maggior parte delle speranze nel partito di Singh, che dovrebbe avere il compito di spingere il governo più a sinistra, anche per recuperare i voti persi nell’invito a non disperdersi e a votare il minore dei Mali, Trudeau.