Se c’era bisogno di un gesto eclatante per confermare che il Canada ha voltato pagina rispetto al lungo dominio politico della destra conservatrice, Justin Trudeau ha deciso di compierlo già prima di aver assunto ufficialmente le sue funzioni di capo del governo.

A poche ore dal voto che gli affidato le redini del paese, il giovane leader liberale ha preso il telefono e ha informato prima Barack Obama, e quindi i premier di Gran Bretagna, Messico e Italia, che gli aerei dell’aviazione canadese non parteciperanno più ai bombardamenti in Iraq e in Siria, compiuti fino ad oggi contro le forze del sedicente Stato Islamico nell’ambito dalla coalizione internazionale a guida statunitense.

Tenendo fede a quello che era stato uno degli impegni presi durante la sua campagna elettorale, Trudeau ha spiegato che d’ora in poi la presenza dei militari di Ottawa nella regione mediorientale – che fino ad oggi aveva potuto contare su 6 caccia F-18, 2 aerei di sorveglianza Aurora, un velivolo per il rifornimento in volo, 2 aerei per il trasporto delle truppe e 600 uomini impegnati nella logistica nelle basi aeree del Kuwait – si limiterà a compiti umanitari e di addestramento delle milizie locali, in particolare quelle kurde nel nord dell’Irak. Trudeau, che non ha però ancora fornito un calendario preciso sul ritiro degli aerei da combattimento, ha inoltre spiegato di aver avuto con il presidente degli Usa un colloquio molto franco e diretto: «Gli ho detto che continueremo a essere presenti in un modo responsabile che tenga conto dell’importanza della partecipazione canadese alla lotta contro l’Isis. Obama comunque ha capito gli impegni che avevo preso nel corso della campagna elettorale sull’arresto di questa missione».

Quello sul ritiro delle forze militari impegnate in Medioriente fin dal settembre dello scorso anno non è però il solo annuncio con cui il nuovo leader del Canada ha voluto presentarsi al mondo.

Nel primo giorno del dopo-voto, Trudeau ha citato la Siria anche a proposito della sorte riservata ai profughi provenienti da quel paese. Dopo che l’amministrazione guidata da Stephen Harper si era mostrata inflessibile – la famiglia del piccolo Aylan si era vista rifiutare la richiesta di ingresso in Canada, malgrado potesse contare su alcuni parenti che da tempo vi risiedono e anche per questo aveva dovuto affrontare un viaggio terribile e dall’esito fatale -, ha dichiarato che intende accogliere coloro che scappano dalle guerre e in particolare dal conflitto siriano e facilitare le pratiche per i ricongiugimenti familiari, dimostrando così che «il nostro paese sa dimostrarsi accogliente e solidale verso chi soffre».

Per l’uomo che intende incarnare con la sua politica una sorta di «sogno canadese», dopo i lunghi anni di austerità e paura che hanno caratterizzato l’egemonia della destra, le vere priorità riguardano poi le scelte legate ad un riequilibrio interno della società. Su questo punto, Trudeau ha in mente un piano di investimenti destinati a migliorare la qualità dei servizi sociali, estendere e rendere più efficienti i trasporti pubblici e creare migliaia di nuove abitazioni di edilizia popolare.

Intende inoltre lavorare per il ripristino di una politica di salvaguardia ambientale e a favore delle «popolazioni autoctone», gli «indiani» canadesi che reclamano da tempo interventi sociali prima di tutto per coloro che vivono nelle riserve. Infine, ha ripristinerà un registro pubblico delle armi da fuoco che il suo predecessore aveva soppresso e di legalizzare la marijuana. In una parola, come ha sintetizzato Trudeau, «costruire un nuovo Canada».