Potrebbe essere di Santiago Maldonado, artigiano e attivista 28enne desaparecido dal primo agosto scorso, il corpo senza vita trovato ieri avvolto dai rami nel fiume Chubut, in Patagonia, sud dell’Argentina.

L’identità non è stata ancora confermata, ma è proprio lì – a poche centinaia di metri dal luogo del ritrovamento – che Santiago fu visto vivo l’ultima volta. Stava partecipando ad una protesta degli indigeni Mapuche, violentemente repressa dalla gendarmeria.

Sparito nelle terre Mapuche, oggi di proprietà del gruppo Benetton. La sua scomparsa ha sollevato proteste e manifestazioni in tutta l’Argentina, campagne online e mostre di fumetti: tutti a chiedersi «dondé está Maldonado».

O meglio a chiederlo al governo argentino che non reagisce, imbarazzato sia dai fantasmi delle 30mila sparizioni forzate sotto la dittatura della giunta militare che dalla resistenza dei 600mila Mapuche che vivono nel paese.

Ieri, mentre la famiglia di Santiago chiedeva alla stampa di rispettarne «il momento difficile», in attesa di risposte dalla Procura sull’identità del cadavere, a fermarsi è stata la campagna elettorale.

I partiti in corsa per le elezioni parlamentari di medio termine di domenica ne hanno annunciato l’interruzione fino a quando quel corpo non avrà un nome.

In ballo c’è molto, a partire dall’immagine del presidente Macri che da questo voto spera di ottenere seggi in più utili alla tenuta della maggioranza di stampo neoliberista, di certo non favorevole alle ataviche rivendicazioni dei Mapuche sulle proprie terre.

Macri continua a negare ogni coinvolgimento governativo, nonostante le accuse dei testimoni: alcune persone presenti alla protesta del primo agosto hanno raccontato di aver visto la polizia prelevare Santiago e spingerlo in una camionetta. Da allora è sparito.