Il Washington Post dice «colpo di stato». Sul New York Times si parla di impeachment. Per la vicepresidente Kamala Harris è «un insolente e sfrontato abuso di potere». «Peggio del Watergate», dice un protagonista del Watergate, Carl Bernstein. Silenzio glaciale dei repubblicani, mentre si muovono procuratori federali e statali, agenti del Fbi.

È un’America esterrefatta quella che legge e rilegge la trascrizione della telefonata del presidente uscente Donald Trump al segretario di stato della Georgia Brad Raffensperger. «Guarda, tutto ciò che voglio è solo trovare 11.780 voti, cioè uno di più di quelli che abbiamo, perché noi abbiamo vinto la Georgia!». Trovami quei voti, Brad. Non importa come.

Un uomo disperato, disposto all’eversione pur di restare alla Casa bianca, in un’ora di telefonata seppellisce ogni residuo rispetto dovuto alla sua carica. «Che vogliamo fare, gente? Mi servono solo undicimila voti, ne ho bisogno, fatemi respirare».

Sconclusionato, a tratti incoerente, alternando persuasioni e minacce, Trump chiede in modo obliquo al responsabile delle elezioni georgiane di farlo vincere. «Non è possibile che abbia perso in Georgia», dice una volta, due, tre.

Nella registrazione diffusa dal Washington Post è l’uomo che parla, più che il presidente. Se Nixon registrava ogni telefonata – e proprio i nastri mancanti lo sprofondarono nel Watergate – questa volta ad azionare il registratore è probabile che sia stato il destinatario della chiamata.

Brad Raffensperger aveva eseguito ogni ordine precedente, aveva disposto non uno ma tre riconteggi del voto, e prima ancora aveva fatto sparire dal registro degli elettori decine di migliaia di nomi. Ma inventarsi i voti è da codice penale. «Non c’è nulla di sbagliato a dire che sì, beh, avete fatto un ricalcolo», dice Trump.

Suggerisce: «I rumors dicono che hanno distrutto migliaia di schede nella contea di Fulton», «i rumors parlano di manipolazione delle macchine elettorali». Minaccia: «Come, non ti risulta? Rischi un’incriminazione, lo sai». Blandisce: «Saresti rispettato, molto rispettato, se questa cosa si potesse fare». E via così.

È Trump stesso a tirarsi addosso il disastro, con un tweet in cui dichiara che Raffensperger «non vuole o non è capace di rispondere» alle consuete farneticazioni sui brogli. Ma stavolta il segretario di stato della Georgia non ha aspettato gli insulti che Trump riserva ai “traditori”. E due ore dopo, il Washington Post pubblicava il suo scoop mondiale.