Le persone comuni che vivono del proprio lavoro percepiscono gli interventi pubblici di salvataggio del sistema finanziario come un privilegio insopportabile. Perché i soldi per sostenere una banca si trovano sempre con velocità straordinaria? Si risponde, normalmente, che una banca è un’infrastruttura sistemica, consente alle imprese di vivere, ma persino a ospedali e scuole. Anche il benessere sociale, non solo quello privato, dipende dalla buona salute delle banche! Nella risposta c’è più di un fondo di verità, il crollo del sistema finanziario avrebbe ripercussioni sull’intera economia generando recessione, disoccupazione e impoverimento.

Molti commentatori si compiacciono della tempestività con cui la Fed ha arginato gli effetti della crisi di Silicon Valley Bank (Svb). Una settimana dopo arriva il plauso per l’intervento rapido con cui Ubs ha acquisito Credit Suisse. Si dirà «ma questa volta la Silicon Valley Bank è stata fatta fallire, ogni tanto anche i ricchi piangono».

Le cose non stanno proprio così. Gli effetti del fallimento di Svb vengono arginati da un intervento per garantire i depositi. In un primo momento l’operazione era limitata a 250 mila dollari per conto. Successivamente tale limite è stato abbandonato.

Janet Jackson ha spiegato che il motivo è la natura sistemica dei correntisti, per cui era necessaria un’eccezione. Il principio Too Big Too Fail in questo caso è stato applicato ai correntisti ricchi senza nessun altro distinguo. Oltre al costo, il rischio di questa operazione è quello che scatti un’ulteriore fuga di capitali dalle banche medio-piccole verso quelle grandi, ritenute più solide o più garantite. Nel caso gli interventi necessari aumenterebbero. Tante banche piccole che rischiano di fallire hanno valore sistemico, difficile che non vengano salvate oppure che non si «accompagni» un ulteriore processo di concentrazione.

Per Credit Suisse l’intervento, in questo caso di salvataggio, è ancora più originale. La banca elvetica viene venduta alla sua principale concorrente (Ubs) per 3 mld di franchi svizzeri in azioni Ubs, la Banca centrale svizzera garantisce 100 mld di liquidità al nuovo colosso e il Governo coprirà 9 mld di eventuali perdite, mentre si ipotizzano già oltre 10 mila licenziamenti. Nel salvataggio gli azionisti vengono tutelati, mentre chi deteneva obbligazioni no.

Tra i primi ci sono i principali soci dell’istituto, cioè Saudi National Bank e il Fondo sovrano del Qatar. Potenza della geopolitica. Negli Stati Uniti, contemporaneamente, fa scalpore la foto del presidente di Svb, che si è liberato di 3,5 mln di dollari di azioni della sua banca poco prima del crollo, in tenuta vacanziera nella sua villa da 3,1 mln di dollari alle Hawaii a pochi giorni dal crack. Chissà nello stesso momento in quale panfilo extra-lusso saranno i principali azionisti di Credit Suisse.

La regola troppo grandi per fallire sembra aver dilatato il proprio raggio d’azione trasformandosi nel principio «troppo ricchi per rimetterci denaro». Non sfugge che per puntellare entrambe queste regole auree del capitalismo contemporaneo siano necessarie risorse pubbliche. Considerando che ospedali e scuole non ricevono particolari attenzioni, si rafforza la sensazione che le infrastrutture finanziarie, e i loro azionisti, godano di privilegi socialmente inaccettabili. Populismo? No, il tema è serio e solleva domande profonde.

Cosa rimane del mito della mano invisibile del mercato che punisce chi sbaglia e premia chi investe con successo? Se la concentrazione del capitale trasforma banche e aziende in infrastrutture imprescindibili per l’intera società di cui dobbiamo farci carico quando va male o sbagliano, perché la logica che deve guidare questi giganti deve essere quella dell’accumulazione privata quando si fanno grandi profitti?

Non potremmo mettere le banche al servizio della società invece che la società al servizio delle banche?