Al Tribunale di Varese i processi iniziano ma nessuno sa dire se e quando si concluderanno. Soprattutto quelli che riguardano certi reati. Sembrerebbe questa l’amara verità. Venerdì 18 ottobre doveva, infatti, finalmente ripartire il processo per i «fatti» di Buguggiate, iniziato il 15 marzo e rinviato per ben due volte per alcuni difetti di notifica. Alla sbarra, con l’accusa di istigazione all’odio razziale e a «commettere atti di violenza per i medesimi motivi», una ventina di presunti nostalgici del nazismo. Tra loro l’attuale consigliere comunale di Busto Arsizio Checco Lattuada, già capogruppo di Alleanza nazionale, e Rainaldo Graziani, figlio di Clemente, a suo tempo uno dei leader più in vista di Ordine nuovo, successivamente organizzatore a Predappio della cosiddetta Guardia d’onore Benito Mussolini.
Al centro del procedimento penale la festa per il «compleanno» di Adolf Hitler, tenutasi il 23 aprile 2007, alla birreria Biergarten – Centro del Lago di Buguggiate, un locale «in perfetto stile bavarese». Una telecamera nascosta della Digos aveva ripreso tutto. Nelle immagini alcuni momenti della serata con il sonoro dei cori a storpiare i refrain di canzoni famose: «Le bionde trecce e gli occhi azzurri» di Lucio Battisti trasformate in «Le stelle gialle sui negozi ebrei», Donne di Zucchero in «Negri du-du-du in cerca di guai», mentre il ritornello di Jeeg Robot, la sigla del cartone animato per ragazzi, in «Priebke, cuore e acciaio, Priebke!».
Proprio venerdì questo stesso video doveva essere proiettato in un aula. Ma accogliendo un’eccezione di una delle difese, il giudice monocratico, Andrea Crema ha bloccato tutto: il dibattimento potrà svolgersi solo davanti a una corte collegiale. Ripartire da zero con una terna di nuovi giudici. Forse tra un anno. Già uno degli imputati, che aveva scelto il rito abbreviato, era stato assolto nel giugno scorso. Per la corte si era trattato solo di goliardia. Secondo alcuni calcoli la prescrizione dovrebbe scattare nell’ottobre 2019. Ma dato il ruolino di marcia tutto è davvero possibile.
Varese è da sempre una città moderata, con un radicato tessuto commerciale e industriale, che nel corso dei decenni ha più volte manifestato le proprie simpatie politiche di destra, corroborate da uno «zoccolo duro» di imprenditori e professionisti, che già sul finire degli anni Sessanta e nei Settanta, si distinse nel foraggiare e spalleggiare il neofascismo, pronunciandosi senza mezzi termini a favore di svolte autoritarie, in nome, come sempre, di «ordine e legge».
Qui l’Msi toccava la soglia del 10%, circa il doppio della media nazionale. Qui si svilupparono formazioni politiche eversive, dalla Costituente nazionale rivoluzionaria ad Avanguardia nazionale alle Squadre d’azione Ettore Muti, fino a Ordine nero, che si resero protagoniste di sistematiche azioni squadriste e dinamitarde. Una città-simbolo per l’estrema destra, oltre a Milano e a Roma, dove furono ripetutamente tentate prove di forza. Sarà anche per questo che Varese non è nuova a episodi antisemiti. Nel marzo 1979 fece scalpore, durante l’incontro di pallacanestro tra la squadra locale e il Maccabi di Tel Aviv, l’esibizione di decine di croci di legno dipinte in bianco e azzurro, i colori d’Israele, accompagnate dal grido «Ebrei al forno» e «Dieci, cento, mille Mauthausen». La notizia fece il giro del mondo.