L’articolo 72 della Costituzione prescrive in materia costituzionale ed elettorale – appunto quella delle riforme di cui si discute – la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della camera. Quindi, commissione in sede referente, invio in aula, discussione, esame degli emendamenti, voto articolo per articolo e votazione finale. Niente scorciatoie.
Ma allora il lavoro dei saggi a che serve? Possiamo ipotizzare che il governo assuma la proposta elaborata, la faccia sua, e la presenti a titolo di iniziativa governativa. Poi, cerchi di blindarla nei modi possibili, magari contrastando emendamenti e malpancisti a colpi di questione di fiducia. Questo varrebbe a significare che si chiama la saggezza altrui a consolidare una vacillante o dubbia saggezza dello stesso governo.
Ma allora un ministro dalle riforme che è stato a sua volta saggio in altra occasione che ci sta a fare? Ovvero potremmo intendere che il supporto esterno dei saggi valga a disciplinare una maggioranza per questa o quella parte riottosa. Ma si capisce subito quanto sia rischioso affidarsi all’arma atomica della fiducia con una maggioranza che definire composita sarebbe a dir poco riduttivo.

In realtà, è la stessa presenza dei saggi ad aumentare il rischio. Cosa accadrebbe se tra i saggi e gli orientamenti parlamentari si delineasse una significativa divergenza su temi chiave, come la giustizia o la legge elettorale? O venissero posizioni vicine all’una ma non all’altra delle componenti della maggioranza? Ovvero posizioni apprezzate dall’opposizione, e non dalle forze che sostengono il governo? Forse, parafrasando un autore a tutti caro, dovremmo dire, saggezza sì, ma con giudizio. Purché non sia superata la misura massima di saggezza che il governo può sopportare.

Sarà bene ricordare che l’impegno diretto del governo nel dibattito sulle riforme non è mai stato un elemento di forza. Né per le riforme, né per lo stesso governo. L’esperienza dimostra che la separazione tra il tavolo dei governanti e quello dei riformatori non tiene fino in fondo, o a lungo. La tentazione di giungere al baratto tra sostegno al governo e questa o quella riforma può diventare insostenibile, soprattutto con una coalizione composita come quella in atto.

Il giorno che qualcuno dicesse: riforma della giustizia come vogliamo noi o stacchiamo la spina al governo, come andrebbe a finire? Non si trova nelle riforme la gruccia che assicuri al governo una vita più lunga.
L’unica vera priorità in questo momento è una nuova legge elettorale, più equa e meno costrittiva di quella attuale. Almeno, consentirebbe ai dubbiosi di rispondere con maggiore convinzione che un nuovo voto popolare è meglio di un pateracchio. E i saggi lasciamoli perdere, anche se vediamo con chiarezza perché nasce il problema. Un tempo se c’era bisogno di saggi si facevano eleggere in parlamento. Adesso, invece, se per sbaglio ne è entrato qualcuno, si preferisce mandarlo sollecitamente a casa.