Ci sono migliaia di italiani positivi al tampone del Covid-19 da mesi – e dunque costretti ancora all’isolamento – nonostante si sentano bene. E ci sono migliaia di persone che non sono più positive dopo il Covid-19 ma che non riescono a tornare a star bene come prima, seppur guariti.
Fra i tanti danni che Covid-19 provoca a varie parti del corpo (fegato, sistema muscolare, reni), in molti pazienti si sviluppa una sindrome da affaticamento a lungo termine da coronavirus.

Ne è convinto anche Anthony Fauci, il virologo americano a capo della task force negli Stati Uniti. «Potrebbe esserci una sindrome post-virale associata a Covid-19», ha dichiarato Fauci il 10 luglio. Il virologo di cui Trump sembra tornato a fidarsi dopo settimane burrascose in cui si è parlato di un suo possibile licenziamento, ha affermato che i sintomi assomigliano a quelli osservati in pazienti con la cosiddetta encefalomielite mialgica, conosciuta in Italia come Sindrome da affaticamento cronico (Chronic Fatigue Syndrome, Cfs).

«Non c’è dubbio che ci sia un numero considerevole di individui che hanno una sindrome post-virale che per molti aspetti li rende inabili per settimane e settimane dopo il cosiddetto recupero», ha detto Fauci. «Persone che in teoria hanno recuperato ma che in realtà non tornano alla normalità- ha aggiunto – e che riferiscono sintomi come “nebbia cerebrale”, difficoltà di concentrazione e affaticamento che ricordano i sintomi della Sindrome da stanchezza cronica».

In Italia non abbiamo ancora studi sulla patologia correlata al Covid-19. Ma il numero di persone con sintomi da Sindrome da stanchezza cronica aumenta costantemente. Si tratta di una patologia solo da pochi anni riconosciuta dal ministero della Sanità, ma altamente invalidante seppur difficile da diagnosticare sia per una certa genericità dei sintomi ad essa collegati (cefalea, profonda stanchezza, dolori a ghiandole e articolazioni, sonno non ristoratore), sia per i tentativi di ricondurla alla condizione psicologica del paziente.

Negli ultimi anni però gli studi sono concordi nel ritenere che si tratti di una risposta esagerata del sistema immunitario a virus, batteri e funghi come fa pensare il fatto che la malattia spesso insorge dopo un’infezione, a partire dalla mononucleosi prodotta dal virus Epstein Barr.

Come dimostrato dalla ricerca del professor Josè Montoya, docente di Malattie infettive all’Università di Stanford, i malati di Cfs hanno una produzione eccessiva di citochine – molecole proteiche che fungono da segnali di comunicazione fra le cellule del sistema immunitario e fra queste e diversi organi e tessuti -e alcune (ben 17) correlate con la severità della Cfs, dimostrando una forte componente del sistema immunitario nella malattia.

In Italia il massimo esperto della Cfs è il professor Umberto Tirelli, direttore dell’Istituto nazionale tumori di Aviano (Pordenone) che da anni studia la Sindrome da stanchezza cronica. E che recentemente ha pubblicato un trial sull’efficacia dell’ossigeno-ozonoterapia, che sembra essere il trattamento più efficace.

L’ozono è un gas instabile che, miscelato all’ossigeno, ha una potenziale attività benefica come trattamento coadiuvante di ampio spettro, e in alcune situazioni l’effetto farmacologico è mirato ed altamente energetico. L’ozono ha inoltre un’azione antalgica, un’azione antinfettiva, un’azione immunostimolante, un’azione con aumento della resistenza allo sforzo che favorisce l’utilizzo dell’ossigeno corporeo.

A livello farmacologico invece la cura per la Cfs si basa su antivirali, corticosteroidei, immunomodulatori e integratori e da modifiche dello stile di vita, portando in alcuni casi alla guarigione e in un discreto altro numero a miglioramenti significativi della sintomatologia. Molti altri infettivologi ed ematologi invece sostengono che l’unica terapia per far passare la Cfs sia il tempo. Ma la durata della patologia nelle versioni correlate ad un virus può essere anche di un anno.