Se l’unità della sinistra (singolare) è una chimera forse neanche più augurabile, sarà possibile unire quante più sinistre e trasformare «l’opposizione in alternativa»? È la domanda di un seminario organizzato oggi alla Camera da un gruppo di associazioni e zeppa di esponenti di Leu e della sinistra Pd.

Nel mese secondo dell’anno uno dell’era gialloverde, alla prova del «veleno razzista di Salvini» ma anche del primo decreto economico, le sinistre cercano di capire cosa fare da piccole; sempreché la decrescita infelice non sia un destino. È lo stesso busillis di un seminario voluto da Ars, Crs e Fondazione Basso lo scorso mercoledì: «Governo gialloverde: incubo o regime», il titolo.

«Stavolta non basterà una manovra politica per disarticolare l’alleanza o il M5S all’interno», anticipa Alfredo D’Attorre, che presiederà una delle sessioni di stamane. Il riferimento è al ’94, ma «le forze progressiste sono in una situazione più difficile. Senza un’opposizione che smascheri le false soluzioni dei populisti e senza rimuovere le domande degli elettori, stavolta non ne usciamo». Serve, prosegue, lo smantellamento «delle attuali barriere organizzative degli sconfitti». Il campo va ricostruito «su basi nuove rispetto alla sinistra riformista ma anche a quella radicale».

Alla fondazione Basso invece si confrontano storici, costituzionalisti, politici di lungo corso. Nessuno è tenero con il governo: «Nel decreto dignità un vago sapore di miele c’è», ammette Vincenzo Vita, e tuttavia nella nuova stagione «c’è un sapore autoritario, tratti di una tendenza al regime». Il presupposto condiviso è che il Pd abbia sbagliato drammaticamente a consegnare il paese all’alleanza Lega-M5S. L’altro è che «noi non possiamo essere spettatori indignati in attesa di tempi migliori» (ancora Vita).

Ragionamenti complessi, si confrontano coppie di opposti, in mezzo tante sfumature. Il governo gialloverde ha «il suo atto inaugurale nel respingimento della nave Acquarius», «un’omissione di soccorso esibita su cui si gioca il futuro della democrazia», ragiona il giurista e filosofo del diritto Luigi Ferraioli. «Delitti, crimini e violazioni non chiamate con il loro nome», per questo l’urgenza è «ricostruire il principio di uguaglianza» scolpito nella Costituzione.

E però «le Costituzioni sono lo specchio di un paese», replica il costituzionalista Massimo Villone, difficile difenderle «se non siamo in grado di difendere quei valori nel paese». Inutile parlare di sinistra se con poche correzioni alla legge elettorale «nel prossimo parlamento c’è la possibilità che la sinistra non ci sia affatto». «Da professori si può dire ’dobbiamo difendere l’uguaglianza’, ma da politico non posso non chiedermi: come, con chi?».

«Si arriva al regime anche e soprattutto perché non c’è un’opposizione, un processo che va costruito alle singole mosse del governo» (Alfonso Gianni). Ma «il quadro è instabile, l’opposizione dovrà essere inequivocabile ma flessibile» (Arturo Scotto, Art.19. Sapendo che il compito è duro per la sinistra perché i 5 stelle hanno raccolto i frutti «di una fase costituente dei movimenti sociali, dall’Onda ai referendum sui beni comuni» (Peppe Allegri). «Serve un fronte popolare», per Acerbo (Prc) «una, almeno lotta comune con gli stranieri» per Hobel (Pci).

Da dove si riparte? In una sinistra divorata «dal cancro delle divisioni» anche personali, si chiede il costituzionalista Mario Dogliani, «la necessità dell’opposizione a questo governo potrà portare a un minimo comun denominatore». Ma all’opposizione c’è anche il Pd di Minniti e del job’s act.

Si potrebbe guardare alle esperienze di Portogallo, Spagna e Grecia, ammette Massimo Torelli, ma in Italia «la débacle di Renzi ha reso impraticabili le parola centrosinistra, Pd e anche sinistra». Nelle conclusioni Aldo Tortorella torna indietro alla Bolognina, alla rottura fra riformisti e radicali: «Abbiamo perso trent’anni», è la conclusione amara. E le divisioni sono più scavate ormai: il paese si appassiona a Salvini «perché affoga le persone», anche «nelle case del popolo ormai c’è chi la pensa così» (ancora Torelli). La sinistra ha fallito. «Ma io non posso assumermi i fallimenti di un gruppo dirigente che non ne ha azzeccato una negli ultimi vent’anni», attacca Giuseppe De Marzo di Libera, chiedendo di ripartire da mutualismo, dalla cooperazione e dalla solidarietà. E scatenando la reazione di Dogliani contro un «noi» e «voi», «non si può confondere tutti nella sinistra di governo». La controreplica: «Nelle periferie non c’è differenza fra Bertinotti e Renzi».