Lucia (Alba Rohrwacher) è geometra. Durante un rilevamento catastale alza l’occhio dal distanziometro e vede una donna con un velo sul capo che le si rivolge in una lingua incomprensibile. Pensa sia una rifugiata e non le fa troppo caso, ma la stranezza della situazione è chiara anche a chi non riconosce l’ebraico antico con cui la signora si è espressa. L’assistente di Lucia non si è accorto di nulla e rimane perplesso al suo racconto. In seguito è un movimento circolare della macchina da presa che rivela quello che pochi secondi prima non si vedeva: la signora velata che di lì a poco si presenta come «la madre di Dio» è invisibile a tutti meno che a Lucia e all’obbiettivo. Gianni Zanasi, di nuovo alla Quinzaine des Réalisateurs 23 anni dopo Nella mischia, in un pugno di secondi dà prova di gusto del rischio, consapevolezza teorica e, cosa più importante, grande felicità espressiva.

La sua messa in scena nervosa, fatta di movimenti laterali e ritmi dispari si dimostra perfetta per un film che si misura laicamente con l’irruzione di una figura capitale del sacro nell’esistenza di una donna oltre che con il problema per eccellenza del cinema moderno: filmare l’invisibile. La cosa interessante, benché non inedita, è che l’invisibile di Troppa Grazia è materia da commedia, dove il desiderio di vedere viene spesso ridicolizzato e l’urgenza di agire rigettata al mittente con disinvolta noncuranza. In questo film Lucia, dopo aver visto e ascoltato la Madonna, prima le risponde male, poi cerca di evitarla e quindi si rivolge a uno psichiatra che coglie nel segno quando le rimprovera di essere troppo esigente con se stessa. E da parte sua, la Madonna non disdegna scapaccioni, spinte e strangolamenti pur di farsi dare retta. L’apice arriva in un furibondo corpo a corpo tra le due, che visto dall’esterno appare come un numero di slapstick keatoniana dove la povera Lucia si dibatte, si contorce, crolla a terra per effetto dei colpi di un nemico invisibile.

A questo punto tutto diventa più chiaro: la tenzone di Lucia è in realtà una lotta con se stessa, dove l’accomodamento che ha accettato per non perdere il lavoro non supera il tardivo ma profondo vaglio morale e ritorna in superficie in altre forme. La perversione di nome Maria che la affligge non ha radici di lontana devozione, ma è di natura laica, civile e persino politica. Dopo aver chiesto semplicemente «Vai dagli uomini», le richieste mariane si precisano sempre di più man mano che vengono individuate le ferite alla verità, all’onestà e alla correttezza amministrativa inferte da un sindaco (Beppe Battiston) che ciancia di innovazione e benessere per tutti, dagli imprenditori e dallo sprezzante architetto (Thomas Trabacchi) incaricato di uno scempio architettonico che sembra la parodia delle realizzazioni da archistar spuntate come funghi nel nostro paese. A Zanasi interessa raccontare la crisi italiana ma si tiene alla larga da prediche e toni seriosi, usa la commedia per il suo potenziale sovversivo e riprende con felice libertà corpi e spazi. Il suo piacere di filmare gli attori si traduce in interpretazioni perfettamente centrate, accordatissime e dai tempi perfetti. Alba Rohrwacher tiene il ritmo di Elio Germano nei bisticci tra ex e rivela sfumature sconosciute nei momenti più riflessivi, tanto che si può parlare della riscoperta di un’attrice.

E il lavoro sul paesaggio rivela la natura acre delle dolci colline della Tuscia e appaia portici eleganti con casette unifamiliari che sembrano uscite da un film di Ulrich Seidl. Nell’anno delle celebrazioni del sessantotto – alla Quinzaine omaggiato con il rispetto che si deve agli atti fondativi – Zanasi realizza invece un film «settantasettino», irriverente e un po’ acido, ribellista e insofferente, dove l’utopia è nascosta sotto terra e richiede una bomba per essere rivelata. Il suo film non c’entra nulla con la tradizione della commedia all’italiana né tantomeno con i recenti esperimenti pieni di idee surgelate che pretendono di rinnovarla. Zanasi guarda piuttosto ai romanzi disegnati da Andrea Pazienza in giù e merita pienamente il premio Label Europa Cinema assegnatogli ieri sera.