Distopica, dissacrante, respingente e seduttiva allo stesso tempo. La Biennale de l’Image en Mouvement – ospitata al Centre d’art contemporain di Ginevra – interroga lo statuto e le modalità dell’immaginario contemporaneo. Il guest curator di questa edizione della Biennale, co-timonata insieme al direttore del Centre Andrea Bellini, è il collettivo newyorkese DIS, che da oltre un decennio sviluppa piattaforme di produzione, divulgazione e analisi culturale.

NEL 2009 FONDARONO DISMagazine.com, punkzine attenta al linguaggio della moda cutting edge e alle forme di comunicazione delle reti sociali, riuscendo a indagare sia l’eccitazione per il nuovo sia il terrore per l’irrilevante. Istanze condivise da altre riviste del periodo, ma nessun altro magazine è stato in grado di registrare, in modo così puntuale, il punto di intersezione tra l’autoconsapevolezza e la perdita intenzionale di autocontrollo. DISMagazine si interrompe nel 2017 per dare vita a Dis.art, piattaforma che segue l’evoluzione del web – dall’era dei blog a quella dei social network e siti di streaming – per occuparsi di produzione e distribuzione di contenuti, guardando a format come Netflix o Youtube, associandoli però a istanze educative.
Un progetto pedagogico in streaming in cui si cerca di conciliare intrattenimento, riflessione e apprendimento attraverso documentari e video d’artista, esplorando temi come le teorie dei media nell’era del trolling, post-nazionalità e cittadinanza, sostenibilità, l’etica dell’intelligenza artificiale e identità sessuale.

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IL COLLETTIVO (già curatore della Berlin Biennale 2016), fino al 30 gennaio 2022, sarà alla guida della Biennale de l’Image en Mouvement. I quattro piani espositivi del Centre d’art contemporain ci proiettano in un universo in cui tutto è esasperato, caricaturale, ironico e minaccioso. Gli artisti invitati – una ventina – sfidano l’assunto che questo sia l’unico mondo e sistema economico possibile. Ciascuno lo fa attraverso il proprio linguaggio.
Will Benedict & Steffen Jørgensen con la serie The Restaurant, si occupano di food experience: il cibo, da necessaria forma di sostentamento, è diventato un «prodotto-merce» che ha imposto regole sempre più predatorie sull’ecosistema. Presentano Café What?, il nuovo episodio della serie, che è sia un ristorante sia una stanza per gli interrogatori. Mentre il proprietario interroga i clienti prima che possano ordinare dal menu, viene registrato un programma radio, dove i conduttori postumani Earface e Blue Chicken discutono di estinzione e emergenze climatiche.
Anche Hannah Black & Juliana Huxtable, nel video Penumbra, indagano lo statuto esistenziale degli esseri viventi. Mettono in scena un bizzarro e astratto melodramma in cui elencano le leggi spietate che gli umani hanno imposto all’ambiente e alle altre specie. Simon Fujiwara con il personaggio animato Who the Bær si concentra sulla natura delle costruzioni identitarie. Who è infatti alla continua ricerca di una forma che possa fornirgli un’identità strutturale, cosa non facile in un mondo già saturo di immagini, in cui è la performatività narcisistica delle reti sociali a determinare l’esistenza dell’individuo.

AKEEM SMITH guarda alla black identity — nelle sue forme politiche, sociali e commerciali — e sperimenta il ruolo dell’artista come archivista. Presenta una videoinstallazione basata su found footage di film amatoriali girati in Giamaica a una festa popolare.
La regista, scrittrice e conduttrice Mandy Harris Williams con il suo Couture Critiques aggiorna e reinterpreta le conferenze del teorico Edward Said, tenutesi nel 1993, riguardanti il ruolo e le responsabilità dell’intellettuale nella società contemporanea. E se le domande di Said rimangono pertinenti e attuali, Williams le declina e posiziona in un contesto pop, prendendo come esempio House of Style, il programma di Mtv degli anni ’90, un format che le permette di raggiungere un pubblico più ampio rispetto a quelle delle conferenze accademiche.
La Biennale si espande però anche fuori dal museo, in due stazioni ferroviarie di Ginevra, con le installazioni di Riccardo Benassi e Giulia Essyad. Se Essyad ha realizzato un video ambientato in un futuro matriarcale, in cui gli umani sono assistiti da robot empatici, Benassi ha creato una sorta di expanded cinema, film in loop in cui appare un’immagine frammentata, compressa, techno sbriciolata e di difficile comprensione e poi una successione di 365 messaggi testuali. Scritti durante il lockdown, sono il risultato di un processo di self digging, in cui Benassi scriveva assistito da GPT-3, il modello di intelligenza artificiale a oggi più avanzato nel campo della predizione linguistica. La seduzione consisteva nel vedere l’intervento di GPT-3 sulle frasi lasciate in sospeso, come erano interpretate e concluse, che Benassi ha fatto poi tradurre in diverse lingue.
A Ginevra, dunque, siamo oltre il concetto dell’uomo è antiquato, per citare il titolo del celebre testo del filosofo Günther Anders, perché i DIS e gli artisti selezionati sembrano già proiettati nella ricerca di una strategia in cui l’umano e il postumano si integrano e contaminano, con la volontà di creare strumenti processuali che determinano nuovi immaginari e forme narrative.