«I giorni del socialismo e del comunismo sono contati, non solo in Venezuela ma anche a Cuba e in Nicaragua». Nel suo discorso all’Università di Florida lo scorso lunedì Donald Trump ha messo in chiaro quale sia la strategia della sua amministrazione.

Eliminare il socialismo – «teoria basata sull’ignoranza» – in tutta l’America latina. Teoria e pratica, quella «comunista», che ha un suo epicentro nell’isola di Cuba. Per questa ragione The Donald I ha definito il presidente venezuelano Maduro «una marionetta di Cuba», mentre per la sua squadra di falchi neocons – assistiti dal senatore (cubano-americano) della Florida Marco Rubio – i “pretoriani” del socialismo bolivariano sono in realtà «24mila agenti cubani» che «controllano» i servizi segreti e i vertici militari del Venezuela.

La guerra umanitaria che inizia oggi alle porte della città di Cucúta, al confine tra Colombia e Venezuela (e si estende ai confini con il Brasile e alle Antille olandesi nei Caraibi), si inquadra in questa strategia dell’amministrazione Trump, che ha come scopo quella di riprendersi l’America latina il cui «destino manifesto» è di essere un’appendice degli Stati uniti, la più grande democrazia cristiana del mondo.

Perché questo destino messianico si avveri bisogna sconfiggere – secondo il consigliere per la sicurezza nazionale John R. Bolton – la «Troika dei tiranni» (Raúl Castro, attraverso l’attuale presidente cubano Díaz-Canel, Maduro, e il presidente del Nicaragua, Daniel Ortega) responsabili della «sofferenza» dell’America latina.

L’amministrazione Trump non solo resuscita la dottrina Monroe (il presidente Usa che nell’Ottocento, contro il colonialismo europeo, rivendicava «l’America agli americani», ovviamente bianchi e possibilmente wasp) ma la inserisce in un contesto globale di conflittualità permanente per imporre gli Usa come potenza unica e contenere l’avanzata della Cina.

È la sostanza dell’American first and only America first, base del cesarismo di Donald Trump alimentato da quel Midwest evangelista e suprematista bianco che odia il liberalismo «socialista».

Venezuela, Cuba e Nicaragua vengono dunque inclusi in quell’«Impero del male» (The Devil Empire) evocato nel 1983 nel corso della 41° Convenzione dell’Associazione nazionale evangelica dall’allora presidente Ronald Reagan il cui obiettivo era sconfiggere l’Unione sovietica e far trionfare le teorie neocon: il neoliberismo dei Chicago boys di Milton Friedman irrorato dall’anticomunismo militante delle Chiese fondamentaliste evangeliche.

Dopo essere rimasto nel cassetto dell’ufficio ovale della Casa bianca (e del Pentagono) è toccato al presidente George W. Bush – eletto nel 2000 grazie al voto di 14 milioni di evangelici bianchi (il 40% dei voti ricevuti) – rispolverare la necessità di abbattere il grande Male. Per questo, per riassumere «le valide ragioni» per invadere l’Iraq di Saddam Hussein, David Frum, l’estensore dei discorsi del presidente, creò le famose parole «l’asse del male», Axis of Devil, che hanno sconvolto come uno tsunami mezzo mondo provocando, anche con la benedizione di organismi internazionali, centinaia di migliaia di vittime.

Dopo aver distrutto l’Iraq e destabilizzato il Medio Oriente – l’asse del male si è esteso presto a Iran, Libia e Siria ma anche con incursioni in Corea del Nord, Birmania e Zimbabwe – è toccato a Bolton cambiare area geografica e trasferire l’asse del male negli (ex) dolci Caraibi. Con la prospettiva di destabilizzare tutto il sub continente latinoamericano che da quasi vent’anni, grazie a una serie di governi progressisti, è stata una delle aree più stabili del pianeta.

Gli aiuti umanitari costituiscono il cavallo di Troia per proseguire il «Golpe maestro» messo in atto da mesi per «destabilizzare il Venezuela bolivariano in tutti gli ambiti: sociale, economico e politico; per generare una situazione di caos e violenza che induca la popolazione ad accettare un intervento esterno», anche militare, secondo un documento presentato alla fine dell’anno scorso dall’ammiraglio Kurt Tidd, comandante in capo del Comando Sud degli Usa.

L’autoproclazione di Guaidó come presidente ad interim ha costituito l’inizio della fase conclusiva di tale piano. Che non prevede accordi e trattative.

«Captain America è in Venezuela», scriveva in un Twitter il 10 febbraio un fan venezuelano del super eroe e giustiziere statunitense con una foto di una striscia di fuoco che attraversava il cielo di Caracas. In quel giorno un meteorite aveva attraversato il cielo del Caribe.

Ed è proprio il simbolo della giustizia made in Usa che il senatore Marco Rubio ha evocato come minaccia ai militari che si opporranno all’ingresso degli «aiuti umanitari» in Venezuela: dovranno fuggire per tutta la loro vita perseguitati dal captain america di turno. Come scriveva Goethe, contro la stupidità anche gli dèi lottano invano.