Mi si è ristretto il pozzo… ed è fuga delle multinazionali del greggio. Stavolta è la società inglese Transunion Petroleum ad abbandonare. Rinuncerà alle ricerche di gas e petrolio nel Golfo di Taranto e nel Canale di Sicilia. Ed è l’effetto referendum anti petrolio a convincerla a lasciar perdere. Con l’introduzione del divieto di ricerca ed estrazione entro le 12 miglia dalla costa – paletto introdotto nella Legge di stabilità per arginare e bloccare i quesiti referendari no triv voluti da dieci Regioni -, le aree interessate dai progetti dell’azienda petrolifera sono state ridefinite, i confini rivisitati, e la Transunion ha deciso di fermarsi, di non dare corso alle autorizzazioni. L’off limits imposto alle trivelle dalla nuova normativa scoraggia, dunque.

La conferma arriva dal Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse (Buig), che recita: «Il direttore generale per la sicurezza dell’approvvigionamento e le infrastrutture energetiche ha disposto il rigetto della parte residua delle istanze di permesso di ricerca, presentate dalla società Transunion Petroleum Italia». Questo perché la società non ha comunicato il proprio interessamento al prosieguo del procedimento amministrativo. Ed ecco le ragioni. Conseguentemente all’entrata in vigore della Legge di stabilità – e quindi del limite delle 12 miglia per le nuove attività petrolifere – , il ministero dello Sviluppo Economico è stato costretto a riperimetrare le zone per le quali erano state chieste le istanze. Complessivamente sono 27 le istanze modificate dal Mise.

A seguito di ciò, il permesso di ricerca e del possibile sfruttamento di un’area di 496 chilometri quadrati a sud di Gela si è ridimensionato. Rimpicciolito, fino a riguardare uno specchio di mare di soli 70 chilometri quadrati, dalla città di Rosario Crocetta fino a Pozzallo. In archivio inoltre il permesso di ricerca nel Golfo di Taranto e nel Mar Ionio: gli iniziali 623 chilometri quadrati al largo di Policoro sono diventati 197.

«La campagna contro le trivellazioni sta sortendo l’effetto sperato – afferma il coordinamento nazionale No Triv –. Ricordiamo che il Governo era stato costretto, sotto la minaccia della consultazione popolare, a inserire il divieto di nuove attività petrolifere off shore entro le 12 miglia marine, dalle linee di costa e dalla aree naturali protette».

Transunion Petroleum getta la spugna dopo l’irlandese Petroceltic e dopo la compagnia olandese Shell, che vantavano rispettivamente un permesso di ricerca al largo delle Isole Tremiti e due istanze, del 2009, nel Golfo di Taranto, al largo di Calabria, Puglia e Basilicata. Petroceltic, nei mesi scorsi, ha motivato la rinuncia «per mancanza di capitali» e «per l’avversità della popolazione», mentre Shell ha annunciato, con una lettera, il dietrofront per «il calo del prezzo del greggio» e per la «riperimetrazione delle aree interessate (imposta dalle norme contenute nella legge di Stabilità) e l’incertezza sulla strada che l’Italia vuole percorrere in tema di idrocarburi». Ha scelto di andare ad investire in Medio Oriente. «Questa situazione – sottolineano gli ambientalisti – è frutto della campagna no triv. E stiamo lavorando – aggiungono – per portare alle urne, il 17 aprile, la maggioranza degli italiani che dirà forte e chiaro al Governo che il vento è cambiato».