Diciotto mesi per fermare la deriva petrolifera del nostro mare. Non sono molti ma il Governo non può permettersi di mancare questo obiettivo.

Fermare le attività di ricerca e estrazione di petrolio dai fondali marini è un passo dirimente per un piano energia e clima coerente con l’urgenza che il cambiamento climatico ci impone. Sbagliato e strumentale leggerlo come l’ennesimo «No», come è stato fatto nel dibattito dei giorni scorsi, visto che rappresenta un passaggio fondamentale per dire «Sì» ad un diverso tipo di sviluppo, più lungimirante e proficuo per tutti.

È arrivato il momento di abbandonare la dipendenza dalle fonti fossili. Non è senz’altro semplice, ma è sicuramente realizzabile. Sono richiesti investimenti, azioni e politiche determinate per raggiungere il traguardo e per questo non è più possibile tenere il piede in due staffe.

L’emendamento riformulato al decreto semplificazioni prevede una sospensione di un anno e mezzo delle attività di ricerca e prospezione, la definizione di un piano che individua le aree idonee e inidonee e un incremento dei canoni di concessione pagati dalle compagnie petrolifere. Una sospensiva, più che una moratoria, che al momento posticipa soltanto l’avvio delle attività. Bene ha fatto il ministro dell’ambiente Sergio Costa a tenere duro su questo punto, ora ci aspettiamo molto di più da un Governo M5S e Lega che insieme a noi hanno sostenuto il «Sì» al referendum del 2016 contro le trivellazioni di petrolio.

Il Mar Ionio, l’Adriatico e il canale di Sicilia, la Basilicata o lo stesso Abruzzo sono infatti oggetto di decine di richieste di prospezione e ricerca di petrolio e gas. Dagli ultimi dati pubblicati sul sito del Mise, sono ben 197 le concessioni di coltivazione attive. Inoltre sono attivi 80 permessi di ricerca, a cui si aggiungono ulteriori 79 richieste, e 5 istanze di prospezione a mare, a dimostrazione che la corsa all’oro nero è nel pieno del suo svolgimento.

Negli ultimi anni anche la Croazia aveva avviato un programma di ricerca di nuovi giacimenti nell’Adriatico, nel tratto di sua competenza, fermato poi da un atto del Governo stesso dopo le richieste delle associazioni ambientaliste, riunite nella coalizione S.O.S. Adriatic, della pesca e del turismo. Ma soprattutto anche alla luce di una Valutazione ambientale strategica transfrontaliera che ha coinvolto tutti gli Stati che si affacciano sul mare Adriatico, percorso che l’Italia non ha mai voluto avviare per quanto riguarda le attività presenti o previste nel nostro mare. Anche in Montenegro ci sono alcune richieste in corso, ma la quasi totalità di piattaforme attive e di richieste riguarda il mare italiano, confermando il protagonismo che auspichiamo assuma l’Esecutivo anche nello scenario internazionale.

I 18 mesi non saranno vani se porteranno alcuni risultati dirimenti, quali lo stop immediato e definitivo a nuove trivellazioni in mare e a terra; il taglio dei 16 miliardi di euro di sussidi annuali alle fonti fossili che nemmeno nell’ultima legge finanziaria sono stati intaccati; la legge che vieta l’uso dell’airgun per le prospezioni petrolifere, a partire dai disegni di legge già depositati in Parlamento; un piano energetico nazionale per il clima e l’energia ambizioso che definisca un percorso concreto e tempi certi. Infine chiediamo all’Esecutivo la riconversione delle attività di Eni, società a prevalente capitale pubblico, dalle fonti fossili alla efficienza energetica e alle rinnovabili. Stiamo, infatti, parlando di un’azienda energetica, di proprietà anche dello Stato, che dovrebbe a pieno titolo entrare nell’agenda di governo dopo l’Ilva e la cui conversione verso tecnologie pulite darebbe una spinta importante al percorso che si vuole intraprendere, per ora però soltanto a parole.

* direttore generale di Legambiente