E così la statistica ha confermato ciò che a pelle si nota da anni. Siamo un paese sempre più vintage. In Italia i più che sessantenni hanno superato i meno che trentenni. Secondo uno studio dell’istituto di ricerca Carlo Cattaneo che si è basato su dati Istat, da quando si è iniziato a misurare questi numeri (1861) a oggi gli under 30 sono passati dal 60,6% al 28,4%, gli over 60 dal 6,5% al 28,7%. Più che l’aumento della terza età (+ 21,9%) colpisce il calo dei giovani (-31,9%) dovuto al crollo delle nascite e, infatti, gli over 75 (11,5%) hanno quasi raggiunto i minori con meno di 14 anni (13,3%). Si va verso la fine della famiglia con nonni o bisnonni che festeggiano i compleanni attorniati da una folla nipoti perché, se gli va bene, ne avranno al massimo uno a testa.

Di per sé non la trovo una tragedia perché, considerando la globalità del mondo, siamo già sette miliardi e mezzo (dati aggiornati in tempo reale su worldmeters.info) e per come stiamo trattando la terra ci saranno sempre meno spazi e risorse per tutti. Il problema diventa tale se si guarda il globo come uno spezzatino di Stati che considerano le nascite solo un fatto di identità nazionale. Allora sì che europei, statunitensi e giapponesi, tanto per citare le aree con il maggior crollo di natalità, rischiano grosso perché ogni anno hanno più morti che nati. Per risolvere il cruccio basterebbe considerare le nascite a livello globale e, quindi, buttare alle ortiche i concetti di immigrato o straniero, che poi è solo qualcuno nato fuori da un confine definito per convenzione, un limite stabilito da guerre e trattati e non dall’appartenenza al genere umano. Certo, le culture e le tradizioni hanno una storia e sono importanti, ma chi ha detto che per mantenerle bisogna fare la guerra a chi viene da fuori?

L’idea di nazione vagheggiata dai suprematisti bianchi ama i confini, stabilisce un Noi e un Loro, ha paura degli altri, vorrebbe blindarsi dentro sicurezze che, in realtà, sono l’architettura di una gabbia. Quello che non capiscono questi signori è che, a poco a poco, si chiuderebbero da soli dentro una gigantesca prigione perché il mondo che auspicano rischierebbe di essere abitato solo da bianchi sempre più vecchi, malandati, tristi e annoiati perché è la varietà delle differenze di lingua, età, energie e idee che fa bella la società. Ve la immaginate una città percorsa solo da anziani?

Io non voglio vivere in un posto così. A me non interessa arrivare a 120 anni, come pare sarebbe possibile trattando bene il nostro patrimonio cellulare, in un mondo del genere. Che me ne faccio di un’età che più avanza e più mi rende triste? Che senso ha restare conservati il più a lungo possibile se attorno hai cervelli e corpi in naftalina? Non vorrei neanche finire come il Giappone. Lì l’immigrazione è da sempre osteggiata, ma adesso hanno un problema. La popolazione sta invecchiando a ritmi vertiginosi (gli over 60 saranno il 40% nel 2050), così il governo ha da poco firmato un accordo con il Vietnam per far arrivare badanti e infermieri che si prendano cura dei loro anziani perché i giovani giapponesi sono troppo pochi e hanno altro da fare. Accordi simili saranno stipulati anche con Indonesia, Cambogia e Laos. Per non provocare ansie da invasione non li chiameranno immigrati, ma lavoratori stranieri, così l’operazione Opportunismo è perfetta: mi prendo chi mi fa comodo e lo chiamo come mi pare. Tanto si sa che l’idea di clandestino o immigrato è una convenzione variabile, dipende dal punto geografico o di vista da cui osservi le cose, non da ciò che si è davvero.

mariangela.mianiti@gmail.com