Trisha Brown e Twyla Tharp, superlative signore della danza americana, magnetica ricercatrice la prima, galoppatrice tra generi e stili la seconda, a loro modo entrambe amanti della sperimentazione e di una visione della danza in perenne movimento. 75 anni compiuti ieri per Tharp, e cinquant’anni di compagnia, festeggiati ila scorsa settimana al Ravenna festival 2016, dove siamo stati, e a Firenze. In scena un trittico che ha sfoggiato in anteprima mondiale Beethoven Opus 130, l’ultima creazione dell’infaticabile artista nota per il mix sopraffino tra pop e classico, jazz e modern, Broadway e cinema, autrice di titoli cult, da Push comes to Show del 1976 alla Golden Section di The Catherine Wheel, del 1983, A Ravenna ha portato An Evening of Three Dances.

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La Biennale Danza 2016 diretta da Virgilio Sieni ha chiuso a sua volta il Festival sabato scorso con un sentito omaggio a Trisha Brown, classe 1936, ospitandone la compagnia fondata nel 1970 e guidata dall’artista fino al 2013. Un programma esemplare per avere negli occhi la portata di un maestro senza il quale la danza contemporanea non sarebbe quella che è oggi. Partiamo da Tharp al Ravenna Festival. Country Dances è il pezzo anni Settanta del programma. Music folk americana, quattro interpreti in bizzarri e coloratissimi abiti di Santo Loquasto, Country Dances è il volto della Twyla più scanzonata che flirta allegramente con l’immaginario country, piacevole se pur datato. Brahms Paganini, del 1980, riporta in auge con diversa tenuta nel tempo la potenzialità della scrittura coreografica e della pura danza con un assolo di pulsante dinamismo, Libro I, danzato da Reed Tankersley, seguito da Libro II, un quartetto di spumeggiante brio compositivo. Anche Beethoven Opus 130 è un sofisticato pezzo di pura coreografia, in cui Tharp sfodera la mano salda di un’artista che padroneggia da decenni le possibilità della composizione e del mix tra i linguaggi della danza. Ballato da otto interpreti, Beethoven Opus 130 entra e esce dal codice accademico a colpi di fouettés, giri alla seconda, pirouettes, che si intrecciano a corse nello spazio, brillanti fuori asse e lifts.

Creato per Matthew Dibble, danzatore storico della Tharp, il pezzo gioca sulla contemporaneità di variazioni coreografiche intrecciate con viva mobilità strutturale. Una serata che riporta in scena un formidabile mix di stili che è ormai classico della modernità.

Altro il discorso per Brown. Lucida pioniera del postmodern nei Sessanta e Settanta, danzatrice e coreografa dalle collaborazioni feconde con artisti come Robert Rauschenberg, John Cage, Alvin Curran, Laurie Anderson, Brown è stata autrice di cicli spartiacque per modalità di creazione, come gli equipments piecese le accumulations, stimolando il pubblico con interventi sulla città come le famose camminate sulle pareti dei grattacieli di New York, per poi riappropriarsi dello spazio teatrale con pezzi firma come Set and Reset del 1983, su musica di Laurie Anderson,nonché del virtuosismo e della musica di tradizione in capolavori come Musical Offering, M.O. del 1995 su Bach, o come L’Orfeo da Monteverdi. A Venezia, al Teatro alle Tese, in scena quattro titoli che, attraversando la storia di Trisha, da Planes del 1968 a For M.G.: The Movie del 1991, ancora oggi sospingono verso la ricerca.

Planes del 1968, un equipment piece con visual design della stessa Brown e sound di Simone Forti, è un pezzo inossidabile. Una parete bianca con buchi regolari per arrampicarsi, un film, di Jud Yalkut, che riprende la città di New York dall’alto e altre visioni aeree, i corpi che sembrano volare nello spazio senza gravità: Yalkut: «un’indagine sui corollari tra lo spazio psichico e la fuga psichica della coscienza oltre la biosfera della Terra», un pezzo che oggi più che mai ci parla attraverso una visione che sfida le leggi della realtà del rapporto sempre più complicato tra l’uomo e il mondo.

Un matematico gioiello compositivo tra improvvisazione e scrittura, da far vedere e studiare ai giovani coreografi, è il quartetto Opal Loop del 1980, nonché l’assolo Locus del 1975, giocato su una sola frase di movimento relazionata a una matrice di punti esterni al corpo. Titoli istruttivi oltre che ipnotici.

Chiusura con For M.G.: The Movie del 1991, nato in memoria dell’amico Michel Guy, un pezzo meraviglioso per ricordarci quanto l’astrazione possa toccare le corde più intime con un accostamento di colori, con il fluire della dinamica, con il mistero da inseguire passo dopo passo di una scrittura superlativa del movimento. Trisha Brown non può più muoversi da New York, ma la sua arte è, lei sia presente o assente, da Leone d’Oro.