Per settimane la guerra targata Italia-Unione europea contro la Libia al fianco dell’ex agente Cia, il golpista Khalifa Haftar, è sembrata una certezza, come confermano le rivelazioni diffuse ieri da Wikileaks. Il pretesto dei flussi migratori, alimentati dal sodalizio Sisi-Haftar proprio per innescare un attacco contro Tripoli, si sarebbe concretizzato con la recente approvazione della missione Ue contro gli scafisti che potrebbe condurre a una seconda missione internazionale in Libia, dopo i disastrosi attacchi Nato del novembre 2011.

Eppure i segni che questo schema sia in parte saltato ci sono e sono tanti. Il primo riguarda il fallimento dei colloqui di pace tra Tripoli e Tobruk, sotto l’egida delle Nazioni unite, falliti ormai da settimane a causa dei continui attacchi di Haftar contro gli islamisti, asserragliati nella capitale libica. Il parlamento di Tobruk si è dimostrato così meno attendibile di quello che sembrava. Il secondo scoglio è il nuovo ruolo propositivo assunto da Tripoli sulla questione della gestione dei flussi migratori. Il parlamento decaduto e il governo dimissionario di Omar al-Hassi hanno di fatto approvato un piano senza precedenti per l’arresto di migranti e il monitoraggio delle coste della Tripolitania, da dove parte la gran parte dei barconi che raggiungono la Libia da Est e Sud.

In terzo luogo, se l’Alto rappresentante della politica estera dell’Ue, l’iperattiva Federica Mogherini, il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, e il capo della Farnesina, Paolo Gentiloni hanno di sicuro premuto il piede sull’acceleratore per avviare un attacco in Libia, il premier Matteo Renzi per la prima volta appare più attendista e da settimane non reitera il suo pur solido sostegno incondizionato all’Egitto, impegnato nella sua guerra per procura in Libia al fianco di Haftar.

Conferme del fatto che un attacco non sia poi così vicino vengono dagli Stati uniti. Il presidente Barack Obama ha fatto ieri visita a Tunisi e con l’omologo Beji Essebsi ha parlato anche di Libia. Il leader del partito islamista moderato tunisino Mohammed Gannouchi ha assunto un ruolo centrale nel dialogo tra le fazioni libiche. Non solo, in un report pubblicato ieri dal Dipartimento di Stato, si legge che Washington non tornerà in Libia almeno fino al 2016. Insomma che un attacco sia pronto nei particolari è ormai chiaro ma c’è ancora spazio per Tripoli per giocare un’ultima carta: il contenimento dei migranti.

E anche le milizie di Misurata cercano di rendere credibile il loro tentativo in extremis di ripristino di una pur effimera stabilità. 40 brigate della città che appoggia il parlamento di Tripoli hanno chiesto a bande armate e società civile di riunirsi in un tentativo di riconciliazione nazionale, per cooperare con le Nazioni unite e chiudere il conflitto. Le agenzie Onu Undp e Unicef hanno più volte chiesto di procedere a una mappatura delle ong attive in Libia.
Anche il Cairo sta tentando di mettere d’accordo sotto l’ombrello di Haftar le tribù libiche. Eppure il meeting, voluto da al-Sisi e svoltosi ieri nella capitale egiziana, è stato diffusamente boicottato dai leader tribali di Tripoli e si è ridotto a un incontro per contare i sostenitori più fedeli di Haftar. Durante la conferenza, il generale egiziano ha parlato della possibilità che in Libia si svolga un attacco con l’appoggio dell’Arabia saudita sul modello yemenita per combattere lo Stato islamico (Is). Derna e Sirte sono le città infestate dai jihadisti nel paese. Proprio ieri Ali al-Kilani Aqim, uno dei leader di Is in Libia, è stato arrestato a Sirte.

Infine, Human Rights Watch chiede alle parti in conflitto di permettere ai civili la fuga dai quartieri orientali di Bengasi, città completamente distrutta dalla guerra, per mesi controllata dai jihadisti di Ansar al-Sharia. Il think tank ha anche chiesto alla Corte penale internazionale di aprire un’inchiesta sulle continue violazioni dei diritti umani da parte di entrambe le fazioni.