I primi mezzi si sono visti ieri mattina. Trecento tra blindati e «tecniche», i pick up armati con mitragliatrici e lanciarazzi, sono entrati a Tripoli e hanno sfilato lungo le strade per poi prendere posizione nella caserma di Tajura, alla periferia occidentale della città.

SI TRATTA DI MEZZI pesanti arrivati nella capitale da Misurata su ordine del generale Mohammad al Zain, potente capo della «Forza Antiterrorismo» che in questo modo ha accolto la richiesta di aiuto che gli ha rivolto Fayez al Serraj. Per il premier libico, sempre più in bilico, è la risposta alle milizie, prima fra tutte la «Settima Brigata» di Tarhuna, che in otto giorni di combattimenti hanno provocato almeno una cinquantina di morti e oltre cento feriti tra i civili e reso ancora più debole il già fragile Governo di accordo nazionale e le milizie che lo difendono. Per capire quanto la situazione a Tripoli sia confusa, basti dire che un’altra milizia alla quale Serraj si era rivolto, quella delle forze speciali guidate da Imad Trabelsi e provenienti da Zintan – dove vive libero Seif Al Islam, il figlio di Gheddafi -, città a 160 chilometri da Tripoli, si sarebbe all’ultimo minuto alleata con la «Settima Brigata». Alle milizie di Zintan il premier aveva chiesto di controllare e mettere in sicurezza il lato ovest della città.

LA SPERANZA dell’esecutivo di Serraj, che domenica ha proclamato lo stato d’emergenza, è ora che l’arrivo in città delle forze di Misurata induca la «Settima Brigata» a fermare l’offensiva che anche ieri l’ha vista fronteggiare le milizie filo-governative nell’area di Alhadba Alkhadra, a 6 chilometri dal centro e dell’ambasciata italiana. Serraj è stato costretto a chiedere un intervento esterno dopo che sono montate le accuse di corruzione contro le brigate che dovrebbero garantire la sicurezza di Tripoli, da parte della «Settima brigata» e di molte altre città.

COSA ACCADRÀ nelle prossime ore è solo l’ennesima incognita che pesa sull’ultima crisi libica. Le speranze sono riposte nella mediazione dell’Onu: la missione Unsmil ha convocato per oggi a mezzogiorno i rappresentanti delle milizie per una riunione che ha come obiettivo quello di aprire «un dialogo urgente sull’attuale situazione della sicurezza a Tripoli». L’esito dell’incontro dipenderà però anche da cosa vorrà fare il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica al quale sarebbe vicino la «Settima Brigata» e deciso a conquistare l’intera Libia mettendo da parte Serraj. Anche per questo la diplomazia italiana potrebbe assumere un ruolo decisivo,

SE APPARE infatti sempre più in forse la conferenza sulla Libia fissata inizialmente per fine settembre a Roma, resterebbe confermato, anche se ancora senza data, l’incontro tra il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi e Haftar. Incontro che potrebbe rappresentare una svolta nei rapporti tra l’Italia e il Paese nordafricano visto che finora Roma ha avuto come interlocutore pressoché unico il Governo di accordo nazionale di Serraj (nei prossimi giorni è fissato un nuovo summit tra i vicepremier libico Ahmed Maiteeq e il ministro degli Interni Salvini). Intanto l’ambasciata italiana a Tripoli rimane aperta, anche se con personale ridotto. Nella rappresentanza rimangono alcuni diplomatici, tra cui il numero due della missione, Nicola Orlando, e l’addetto al servizio stampa, Steve Forzieri. «L’ambasciata deve essere pienamente operativa», sottolineano fonti della Farnesina, perché l’Italia ritiene importante “monitorare da vicino la situazione e seguirla minuto per minuto».