A parole le due autorità rivali di Tripoli e Tobruk ribadiscono il sostegno all’accordo che hanno firmato a metà dicembre in Marocco, nei fatti lo boicottano. Un governo si è formato ed ha anche assunto pieni poteri. Ma lo ha fatto unilateralmente. Ieri il premier designato al-Sarraj ha annunciato l’intenzione di insediare l’esecutivo nella capitale libica «nei prossimi giorni», nonostante la minaccia di milizie contrarie. Per farlo, è stato preparato un piano per garantire la sicurezza dalla polizia.

Rispondono entrambi i governi. Quello islamista di Tripoli ha fatto sapere di non voler cedere la propria autorità ad un esecutivo «imposto da fuori e che i libici non accetteranno». Quello di Tobruk, sostenuto dall’Occidente, fa lo stesso: «Un governo imposto senza l’approvazione del proprio parlamento amplierà ancora di più la crisi».

Quell’esecutivo serve però a molti, a cominciare dai paesi europei sul piede di guerra. Non a caso a Bruxelles risuona un nuovo allarme: «Oltre 450mila sfollati e rifugiati in Libia sono pronti a partire in direzione Europa». Lo aveva scritto in una lettera di sei giorni fa l’Alto Rappresentante agli Affari Esteri Mogherini ai ministri degli Esteri Ue: «Il conflitto libico e l’assenza dello Stato permette ai trafficanti di operare con impunità», ha aggiunto prospettando una collaborazione con la Nato.

I ministri ne hanno discusso ieri e immaginato la soluzione: l’estensione almeno fino all’estate della missione navale Sophia per impedire una nuova ondata di migranti, che probabilmente aumenteranno vista la chiusura della rotta balcanica suggellata ieri dall’accordo tra Ue e Turchia. Ora però si punta ad entrare nelle acque territoriali libiche, obiettivo ostacolato dalla mancata nascita del governo di unità nazionale.