La Farnesina sembra cambiare marcia e diventa ancora una volta interventista, e stavolta in Libia. Dietro gli interessi espliciti, quelli petroliferi e quelli non dichiarati di controllo dell’immigrazione, per l’ennesima volta che cosa si nasconde?

Pare cogente il disastroso attacco di Francia e Gran Bretagna del 2011 che ha di fatto spodestato l’Italia, pure disponibile, con gli Usa, alla guerra e la Germania, contraria all’ intervento armato, nel controllo delle risorse petrolifere a favore di Parigi e Londra.
E così, ieri il ministro degli esteri italiano, Paolo Gentiloni ha parlato del possibile invio di una forza armata, tanto per cambiare di «peace-keeping con l’avallo delle Nazioni unite» – ma lì è in corso una feroce guerra civile con almeno due governi e due parlamenti contrapposti, in mezzo a centinaia di milizie armate fino ai denti. «Non potremo più delegare gli americani, peraltro strategicamente meno interessati di noi alle sorti del Medio Oriente, per la sicurezza della Libia», ha detto il ministro. Già martedì era arrivato un forte appello, lontano dai toni consueti, della Farnesina a una cessazione immediata dei raid dell’esercito, vicino al generale Haftar, su Tripoli per non pregiudicare gli sforzi dell’inviato speciale del Segretario generale dell’Onu per la Libia, Bernardino Leon.

Raid sull’aeroporto

I velivoli coinvolti nei raid su Tripoli sono partiti martedì dall’aeroporto militare libico di Mitiga, vicino Tripoli. Testimoni riferiscono di aver visto un solo aereo passare a bassa quota sullo scalo e di aver sentito subito dopo una forte esplosione, seguita da una colonna di fumo. Tre giorni fa, i militari vicini all’ex agente Cia, Khalifa Haftar, che controlla il parlamento illegittimo di Tobruk e sostiene il premier Abdullah al-Thinni, con l’avallo del Cairo, avevano annunciato l’avvio di un’operazione per liberare la capitale libica dalle milizie filo-islamiste. Haftar ha lanciato un ultimatum di 24 ore alle milizie Scudo di Misurata per lasciare la capitale. La procura di Tripoli ha risposto spiccando un mandato di arresto contro Haftar.

Poche settimane fa la Corte suprema libica si era espressa per lo scioglimento in toto del parlamento di Tobruk, eletto lo scorso giugno da una minoranza di libici, la cui sede si trova ancorata su una nave a largo delle coste di Bengasi, per le instabili condizioni di sicurezza. Non solo, il Congresso Nazionale Generale di Tripoli, vicino ai Fratelli musulmani libici, ha anche emesso un decreto che vieta alle organizzazioni internazionali e ai governi stranieri di mantenere contatti con qualsiasi parte «illegittima».

Battaglia a Bengasi

Ma la guerra continua anche a Bengasi dove non si fermano i raid di Haftar contro Ansar al-Sharia, gruppo radicale inserito nella lista dei gruppi terroristici dagli Stati uniti. Ieri due soldati sono morti nei raid sul capoluogo della Cirenaica. Tuttavia, la roccaforte dei jihadisti è la città orientale di Derna che ha ora un’organizzazione amministrativa autonoma a cui capo siede Abu al Baraa al Azdi, di origini yemenite. A Derna sono attive anche la brigata Rafallah al Sahati, 17 febbraio e l’esercito dei mujahedin. Questi gruppi dichiarano la loro fedeltà ai jihadisti dello Stato islamico (Isis), attivi in Iraq e Siria.

1.700 milizie

La Libia è attraversata da un’instabilità politica cronica sin dal 2011. Sono oltre 1700 le milizie presenti nel paese, in cui circolano indisturbate enormi quantità di armi, dopo i sanguinosi attacchi della Nato (2011) e la morte violenta del colonnello Muammar Gheddafi. Sin dal suo insediamento, il fragile governo islamista di Ali Zeidan è stato incapace di disarmare i miliziani.

Lo scorso ottobre, Zeidan era stato preso in ostaggio per alcune ore. Ma la sfiducia per l’esecutivo, targato Fratelli musulmani, è arrivata lo scorso marzo, quando Zeidan si è dimostrato incapace di impedire l’esportazione di petrolio al cargo Morning Glory da parte dei separatisti della Cirenaica. Proprio da Bengasi è partito il tentativo di golpe dell’ex generale, critico verso Gheddafi, Khalifa Haftar, insieme ai miliziani di Zintan, che ha conquistato Bengasi ma non è riuscito ad entrare a Tripoli. Dopo le elezioni del 25 giugno scorso, con una vittoria dei laici e la formazione del parlamento pro-Haftar a Tobruk, le milizie jihadiste hanno di nuovo conquistato posizioni.

il paese diviso in tre

In seguito agli scontri che hanno distrutto l’aeroporto di Tripoli e causato oltre 200 morti, nel luglio scorso i gruppi radicali avevano dichiarato la nascita dell’«Emirato di Bengasi», dopo aver preso il controllo delle basi delle forze speciali della seconda città libica. Da allora Haftar ha lanciato almeno tre offensive per sottrarre agli islamisti il controllo di Tripoli.
Fin qui l’unico risultato è una Libia sempre più lacerata, sulla stessa terribile strada della Somalia, e spaccata in tre: Cirenaica, Tripolitania e sud desertico che è terra di nessuno. Finalmente anche l’Italia se ne è accorta.