Lei era una adolescente ribelle, espulsa dalla scuola e finita in un ospedale psichiatrico per tentato suicidio; l’altra una nota scrittrice: Jenny Diski, allora quindicenne, e Doris Lessing, allora quarantenne, si incontrano per la prima volta sulla porta di una casa di Londra, in Charrington Street. Era il 1963 e Doris, su suggerimento del figlio Peter compagno di scuola di Jenny, decise di prendere in affido la ragazzina cattiva che tutti respingevano, genitori inclusi. Cominciò così quel rapporto «di una certa complessità» che, fra gratitudine e risentimenti, tenne legate due donne e due scrittrici per il resto della vita.

Scelte narrative in campo
Diski lo racconta in un memoir, uscito poche settimane prima della sua morte nell’aprile del 2016 e ora pubblicato in Italia da NNE con il titolo In gratitudine, nella splendida traduzione di Fabio Cremonesi (pp. 267, euro 18,00). Ma c’è, accanto a questo racconto, una seconda trama, che riporta le vicende e i pensieri di Jenny dal momento in cui nel 2014 le venne diagnosticato un tumore inoperabile e una fibrosi ai polmoni che l’avrebbero portata alla morte. E c’è poi una terza trama, la più importante, che tiene unite le altre due, le sovrasta e le rende quasi un pretesto perché la scrittrice possa continuare a fare il suo mestiere, ovvero creare una lingua che scansi il «copione prestabilito», la «fatidica banalità», le battute scontate. Scrivendo – dichiara Diski nel capitolo introduttivo – si impara «che non è davvero importante ciò che si scrive, ma come lo si scrive» scegliendo fra le possibilità date a una autrice precipitata nel ruolo di malata terminale.

Comporre un diario del cancro pone a Jenny Diski un problema di scelte narrative: come raccontare la propria fine-vita senza cadere in clamorosi cliché? Autrice «narcisista» che non può scrivere di nulla se non partendo dall’esperienza, rimane fedele alla sua tecnica e, «con una sentenza di morte» tatuata sul corpo, affronta il tema partendo dalla scomparsa di persone a lei prossime.

Ecco come entrano in scena Doris Lessing e suo figlio, morti nel 2013 a distanza di poche settimane. Jenny parte da loro, che hanno cambiato la sua vita, per narrare il proprio passato e il presente precario: «la trovatella ingestibile» che viene scaraventata nel mondo bohemien della Londra sesso droga & rock-‘n’-roll degli anni Sessanta, al tavolo della cucina di Doris con altri autori come Ted Hughes e Alan Sillitoe, ai quali cercava di carpire il segreto del mestiere; gli abusi dei genitori; i ricoveri in ospedali psichiatrici; lo stupro a quattordici anni; la vita «al livello zero» di una ragazzina sbandata in cerca dell’introvabile «libretto delle istruzioni» per vivere, il riemergere dal fondo, il cancro.

Con un’eloquenza tutta sua, Diski fa i conti con questa vita puntando l’obiettivo sulla Jenny protagonista e il suo continuo scontrarsi con parole e ruoli, mai aderenti alla sua storia. Chi era Doris per Jenny? madre adottiva, affidataria, protettrice, benefattrice, la «donna con cui vivo», amica, fatina, zietta? Chi era Jenny per Doris? Un «oggetto di beneficienza», l’«esperimento finito male» di una convivenza destinata a finire? Come esprimere gratitudine a chi l’aveva salvata se al suo orecchio parole come «rilassati» e «sentiti a casa» suonavano in conflitto con ciò che forse provava davvero?

Il libro è una intensa ricerca di risposte insieme alla documentazione della nascita di una scrittrice e del rapporto fra due donne (e due generazioni) che avevano ambedue infranto le regole: Doris abbandonando i primi due figli per dedicarsi alla scrittura a Londra, l’adolescente Jenny lottando corpo a corpo con una vita avversa. Passano gli anni, Doris vince il Nobel, Jenny entra nel mondo letterario (con romanzi, racconti, saggi e reportage di viaggio), ma entrambe continuano a cercare l’una nell’altra la ragione di un rapporto irrisolto. A ridosso della morte, Diski scioglie infine il nodo della gratitudine, e rende omaggio al «coraggio» e alla «spietatezza» di Doris Lessing, che per diventare una scrittrice era fuggita portando per mano solo il piccolo Peter e abbandonando gli altri due figli. Ora che Jenny sa cosa significa scrivere, mette sul piatto della bilancia ciò che trova negativo e quanto riconosce come positivo nella madre putativa. Alla razionalità della donna che sacrifica gli affetti, contrappone la scrittrice che le ha insegnato quale sia il rapporto fra finzione e realtà.

Tra malattia e metafisica
In una lingua coinvolgente, tramata di riferimenti letterari e cinematografici, In gratitudine racconta la storia di persone prese al laccio – dal bisogno di scrivere, dalle scelte altrui, dal cancro che piomba nel «modello di futuro» di Jenny. La malattia comanda e induce Diski a giocare con la metafisica, con il tema della morte, con l’estinguersi del tempo. Ma fra statistiche mediche e paura dell’orizzonte ultimo che la attende, Jenny rimanda un sorriso ironico, ribellandosi ancora una volta al «diagramma di flusso già disegnato». Al marito chiede di consegnarla all’aldilà in un piumone invernale, e a chi voglia farle un regalo per il suo ultimo Natale chiede qualcosa di caldo in cui avvolgersi per godersi il finale di una serie TV prima di andarsene.
Oltre il genere memoir, In gratitudine è un ritratto intimo di Doris Lessing – la sua routine quotidiana, il femminismo, il suo parlare a Jenny di sesso come a un’amica adulta, l’influenza del sufismo, bizzarrie e durezze, i suoi ultimi giorni e quelli di Peter, patologicamente legati anche nel morire – che offre un resoconto, anche a medici, pazienti e aspiranti scrittori, di quale potere abbiano le parole sulla vita.