La lira libanese – come del resto il Libano – è in caduta libera. Ieri ha toccato quota 16.300 lire per dollaro al cambio al mercato nero. Vuol dire che, essendo ancora formalmente agganciata al dollaro a un tasso fisso di 1.507 lire, ha subìto una svalutazione del 100% in meno di due anni. Vantaggi enormi per i pochi che hanno accesso al dollaro contante, povertà in aumento esponenziale per gli altri. Terreno fertile per la speculazione.

La dollarizzazione dell’economia libanese, al 20% nei primi anni ’70, supera il 90% nel biennio ’85/’87 in piena guerra civile e in un periodo di grande incertezza politica ed economica. «La svalutazione della moneta ha molto a che fare con la speculazione sul dollaro (…), presto trasformata in sport nazionale. Ma quando si parla di dollarizzazione c’è una causa strutturale costantemente trascurata: il paese produceva quasi nulla e importava praticamente tutto», scrive lo storico Traboulsi analizzando il 1988. Una condizione praticamente immutata.

Le cause dell’inflazione e della vertiginosa impennata dei prezzi sono da cercarsi anche nell’impostazione economica di un paese che privilegia il terziario e importa l’80% dei beni primari e secondari. La bolla finanziaria scoppiata nel 2019 che ha portato alla forte mobilitazione del 17 ottobre ha palesato uno status quo noto agli analisti da almeno dieci anni. La Banca nazionale svizzera ha recentemente pubblicato dati che certificano un aumento, solo nel 2020, di due terzi dei capitali libanesi (da 2,7 a 7 miliardi di dollari) in Svizzera.

Fatto rilevante alla luce del blocco dei trasferimenti in atto dal 2019 e che si inserisce nell’ambito dell’inchiesta franco-elvetica sul presunto riciclaggio di denaro attraverso società off-shore da parte del governatore della Banca libanese Riad Salameh – accusato di aver attuato uno schema Ponzi – e del fratello Raja.

La crisi oggi si manifesta nelle file e le attese infinite ai distributori di benzina, nelle ultime settimane presidiate dall’esercito per evitare disordini che comunque non sono mancati. Solo una quindicina di litri a vettura, salvo le frequenti eccezioni legate alla uasta, l’aderenza, concetto chiave di una società imperniata sul favoritismo nel grande e nel piccolo. Ieri il premier dimissionario Diab ha annunciato che il tasso calmierato di 1.507 lire, con cui la benzina è stata acquistata finora, passerà a 3.900, quello cioè con cui le banche permettono prelievi limitati dai conti in dollari, e che porterà per il momento al raddoppiamento del costo.

La cinica dichiarazione del ministro dell’energia Ghajar la scorsa settimana («Chi non può permettersi la benzina trovi altre soluzioni») dà la misura dello scollamento della classe dirigente dalla realtà: in Libano non esistono praticamente mezzi pubblici, tranne una rete insufficiente di mini-bus e taxi, destinati ad aumentare oltremodo le tariffe e che in tempi di Covid non garantiscono standard di sicurezza. Dichiarazione in linea con i toni del numero uno del suo partito, il movimento patriottico libero, il presidente Aoun, che nel novembre 2019 invitava i giovani dissidenti a lasciare il paese.

Il leader di Hezbollah ha ieri annunciato che è «tutto pronto per importare dall’Iran, manca solo l’autorizzazione a procedere», ma non attraverso la Banca centrale così da eludere le sanzioni americane sull’export iraniano. La farina è calmierata – per poco -, ma il prezzo del pane è salito. Carne, latte o pannolini sono un privilegio per moltissima parte della popolazione. Il latte in polvere è introvabile o ha prezzi proibitivi, come molti medicinali.

Lo stallo politico è polarizzato e ogni mediazione sembra inutile: da un lato il premier incaricato ormai da più di otto mesi Hariri che vorrebbe un governo di tecnici e l’eliminazione del potere di veto dei partiti, dall’altro Aoun con il genero e delfino Bassil, che invocano invece un governo politico.

Una coerenza affettata che da qualsiasi prospettiva si guardi rivela il sostanziale attaccamento al potere che sottende e a cui nessuno è disposto a rinunciare nemmeno a costo di ridurre il Libano alla fame.