I media americani l’hanno definita una delle cerimonie più «scoppiettanti» delle ultime stagioni, certo che la sessantacinquesima edizione degli Emmy Awards, i cosiddetti Oscar della televisione, si è divertita a contaminare generi e situazioni. A partire dal conduttore, Neil Patrick Harris (la star della sit com How I Met Your Mother, passando per le atmosfere dello show che secondo Tv guide è stata una curiosa «sovrapposizione fra numeri quasi da musical», dove sembrava di assistere ai Tony Awards o ai Grammy (la curiosa esibizione di Elton John e della stellina country Carrie Underwood, impegnata in una versione di Yesterday per rimarcare i cinquant’anni dall’apparizione dei Beatles all’Ed Sullivan show.

È stato l’anno degli addii – televisivamente parlando – la conclusione di serie che hanno fatto la storia del genere (domenica dopo otto stagioni il serial killer Dexter è arrivato a fine corsa su Showtime), come Breaking Bad che ha chiuso con ascolti record la quinta stagione che si è aggiudicata il premio come miglior serie drammatica. Un premio anche all’attrice «non protagonista» Anna Gun e per il montaggio. Bryan Cranston (i più ferrati serial dipendenti lo ricorderanno in un centinaio di episodi della soap Quando si ama nei primi anni ottanta), il protagonista, ha concluso le curiose vicende del mite professore di chimica che dopo aver scoperto di avere un male incurabile decide, per garantire il futuro alla sua famiglia, di trasformarsi prima in uno spacciatore e poi in produttore di metanfetamina.

Un successo, ma superato in fatto di statuette guadagnate (cinque, scenografia, sonoro, effetti sonori, acconciature e attore non protagonista Bobby Cannavale) da The Boardwalk Empire prodotto – e nell’episodio pilot diretto – da Martin Scorsese, capace di sviluppare, storie e personaggi che ruotano intorno agli anni della grande depressione. Successo – oltre ogni aspettativa – per Behind The Candelabra di Steven Soderbergh, che ha accettato di affidare Hbo il progetto del film che non interessava Hollywood, la storia del pianista Liberace interpretato da Michael Douglas e della difficile relazione con l’amante Scott Thompson (Matt Damon). Quindici le nomination complessive, undici gli Emmy conquitati, fra cui quello di miglior attore andato a Douglas che ha «sconfitto» lo stesso Damon che concorreva nella stessa categoria. In Italia lo vedremo invece nelle sale, dal 5 dicembre, distribuito da O1 Distribution. Non si è aggiudicata nessun singolo premio per gli interpreti, ma per la quarta volta la sit com Modern Family vince nella categoria «miglior commedia».

E House of Cards, le cui nove nomination avevano destato scalpore visto che la serie viene distribuita esclusivamente su Netflix, il servizio di streaming on demand disponibile in rete? È riuscita nell’«intento» guadagnando un Emmy come miglior regia, insieme a quelli per la miglior fotografia e il miglior casting, confermando come ormai anche i custodi dell’«entità» televisiva si siano arresi al fatto che il piccolo schermo sia ormai un immenso «blob» che interagisce – e si sovrappone – con la rete. Ai volti distesi dei premiati, si sovrappongono le facce scure di attori, registi e sceneggiatori delle produzioni date per «sicure vincenti» e che invece sono tornate a casa a mani vuote. Il secondo (e intrigante) ciclo di American Horror Story con Jessica Lange, supportato da diciassette nomination alla fine ha dovuto accontentarsi di due premi minori. Ancor peggio per la pur ottima Top of the lake di Jane Champion, solo un premio come miglior fotografia. Male anche le biopic, quella su Phil Spector diretta da Daniel Mamet e The girl di Julia Harrold su Hitchcock, rispettivamente 11 e 6 nomination e zero premi.