«Le fratture si ricompongono con la dialettica» ha detto il premier Giuseppe Conte scambiando la retorica con l’ortopedia. In realtà la dialettica è un’arte della guerra che lascia sul terreno vincitori e vinti. Lo stralcio di quattro commi dal «Salva Roma», e il rinvio delle norme per l’estinzione del debito storico della Capitale a un provvedimento parlamentare ad hoc segnano, per ora, un altro punto a favore di Salvini nel governo del «salvo intese». Ma per recuperare la sconfitta i Cinque Stelle evocano una politica dei due tempi: la sindaca di Roma Virginia Raggi si è detta convinta che il «parlamento riuscirà a correggere tutto questo». Dopo il blitz di Salvini che ha azzoppato il provvedimento, in parlamento li attende un Vietnam.
Per ora si è ripetuta la storia di questa scalcagnata alleanza: Di Maio strepita, Salvini incassa. E dire che i Cinque Stelle avevano gli argomenti per mostrare le contraddizioni del loro nemico-alleato. In fondo, Giorgetti e soci hanno firmato la prima versione «salvo intese» del «decreto crescita» il 4 aprile scorso. Ma in tre settimane i leghisti non solo hanno cambiato idea, ma anche intesa. E non passerà giorno con nuove proposte «fuori sacco», magica formula che riassume la nuova tattica della guerriglia tra alleati. Per il momento è stato istituito un fondo presso il ministero dell’Economia ed è stato eliminato il meccanismo che avrebbe permesso allo Stato di rinegoziare il debito e gli interessi pagati dal Comune, alleggerendone il peso, liberando 2,5 miliardi.

ABITUATO A DETTARE il ritmo del governo, con il suo motto «O tutti i comuni, o nessuno» Salvini sfoggia lo scalpo: un altro provvedimento per tutti gli enti locali in dissesto, nel quale dovrebbe confluire l’ex «Salva Roma». A seconda del grillino che parla la proposta viene chiamata «Salva Italia» (ieri lo ha ridetto il ministro alle infrastrutture e trasporti Toninelli, tragicomica omonimia con la manovra Monti del 2011) o «Risparmia Italia» (la viceministra all’economia Laura Castelli). Il meccanismo finanziario permetterebbe di risparmiare subito 300 milioni dei contribuenti italiani, tagliare le tasse ai romani. Non è escluso che qualcosa di analogo possa essere escogitato, caso per caso, per tutti i comuni in crisi, da Napoli a Torino, da Catania a Alessandria, ma anche è possibile che il progetto annunciato ieri da Castelli («Il decreto legge sui comuni c’è, se la Lega è interessata noi ci siamo») possa seguire un percorso distinto.

In ogni caso l’invito sembra essere stato raccolto dalla Lega: «Mettere una toppa su Roma non serve alla capitale né agli altri 320 comuni in difficoltà, servono norme strutturali» hanno detto il viceministro all’economia Massimo Garavaglia e dal sottosegretario all’interno Stefano Candiani (Lega). Ma il partito di Salvini ha comunque già pronto un altro piano anti-Raggi, in preparazione della campagna elettorale per il Campidoglio. In contrapposizione al «Salva Roma» i leghisti pensano a un «assetto istituzionale» capace di superare anche la legge Delrio e deleghe speciali su trasporti, sicurezza e rifiuti. «Il problema non è il debito, ma la riforma istituzionale che il sindaco Raggi non è stata capace di proporre seriamente al governo» sostiene Maurizio Politi, capogruppo del Carroccio in Campidoglio. La guerra continua dentro il governo e all’opposizione in Campidoglio. La prova che i Cinque Stelle stanno abbozzando di nuovo è venuta da Di Maio che ha ammesso di essersi stancato «per questa lite permanente con la sindaca di Roma. Si chiariscano se ne hanno bisogno. Io penso a lavorare». Dovrebbe invece chiarirsi lui con Salvini. Uno sforzo superiore alle sue capacità di lavoro, a quanto pare.

NELL’OMNIBUS di norme occasionali e disorganiche finanziate con 1,9 miliardi per il triennio 2019-2021 chiamato «decreto crescita» ci sono norme per tutti i gusti: il dodicesimo condono per multe e tasse locali; torna il bonus al 130% del super-ammortamento; cancellato l’obbligo di restituzione del «prestito ponte» per Alitalia e sono state messe le basi per l’eventuale ingresso del Mef nel capitale; sconto Imu al 70% per i capannoni; norme per il rientro dei «cervelli» e per il «made in Italy». Sui rimborsi per i «truffati per le banche». Dopo mesi di tira e molla è passata la versione di Tria che ieri ha riscosso anche il plauso della commissaria Ue alla concorrenza Margrethe Vestager: «Stiamo lavorando bene con il governo italiano» ha detto alle vittime di «misselling» venete ed emiliane che ha incontrato a Bruxelles.

NEL TESTO è stata approvata una variazione che rischia di rilanciare il braccio di ferro. Il governo ha approvato il piano concordato sui rimborsi automatici alle persone fisiche che hanno dichiarato nel 2018 un reddito Irpef fino a 35 mila euro o hanno un patrimonio in depositi e titoli fino a 100 mila euro. Ma ha inserito un codicillo secondo il quale quest’ultimo parametro potrà essere elevato a 200 mila euro, sempre che la Commissione Ue sia d’accordo. L’idea è dei Cinque Stelle che vogliono allargare la platea dei rimborsi automatici. Per farla passare dovranno trovare un nuovo accordo con Bruxelles.