Sono stati tre anni frenetici per il porto di Trieste, e in particolare per il presidente dell’autorità portuale Zeno D’Agostino, che tra frequenti visite in Cina, e la crescita dei volumi commerciali, soprattutto ferroviari, gestiti proprio a Trieste, di certo non si è annoiato.

Come abbia fatto il porto di una città di poco più di 200 mila abitanti, dal 2016 divenuta autorità di sistema portuale che comprende anche la vicina Monfalcone, a guadagnarsi interessi e attenzione da parte di Pechino dipende da una serie di elementi geografici e strutturali che ben si inseriscono nel quadro delle esigenze infrastrutturali delle Nuove Vie della Seta promosse dalla Repubblica Popolare.

Dotato di fondali naturali abbastanza profondi da garantire la movimentazione di navi transoceaniche, situato al crocevia di due dei principali corridoi logistici transeuropei – quello che collega Baltico e Adriatico e quello mediterraneo – il porto di Trieste gode di caratteristiche estremamente funzionali per le catene logistiche e la connettività internazionale. La città giuliana agisce inoltre da snodo marittimo più prossimo per i mercati del centro e dell’est Europa, proprio quelli su cui gli investimenti infrastrutturali cinesi targati Belt and Road (BRI) si stanno concentrando maggiormente.

Il sostanziale sviluppo in senso intermodale della piattaforma logistica – con la componente marittima e il trasporto su ferro che si sviluppano in modo integrato – e la (re)istituzione dello status di porto franco internazionale nel 2017 hanno accresciuto enormemente le potenzialità commerciali di Trieste (+63% di traffico ferroviario dal 2015 al 2019), obliterandone l’importanza strategica per le nuove vie della connettività intercontinentale promosse da Pechino.

Che i cinesi fossero interessati a Trieste lo si è iniziato a notare con una certa chiarezza nel 2017, in concomitanza con il primo summit BRI organizzato a maggio a Pechino, durante il quale l’allora premier Gentiloni – unico capo di governo di un Paese del G7 presente al vertice – ufficializza l’interesse cinese verso Trieste.

Non passa molto che la China Communication Construction Company (CCCC) fa sapere di essere disponibile a investire nel porto giuliano.

Con queste premesse, alla firma del memorandum tra Italia e Cina sulla BRI del marzo 2019 si accompagna la sigla di un accordo tra D’Agostino e il rappresentante della CCCC Song Hailong, con l’obiettivo di supportare lo sviluppo delle infrastrutture ferroviarie collegate al porto di Trieste, in particolare nelle nuove stazioni di Aquilinia e Servola.

L’accordo inserisce definitivamente il porto triestino nel network infrastrutturale della BRI, costituendo l’atto fondativo di una partnership che ha visto le due parti impegnate nella firma di un ulteriore memorandum il 6 novembre di quest’anno. L’intesa – siglata a Shanghai in occasione della fiera internazionale dell’import cinese, alla presenza del ministro degli Esteri Luigi Di Maio – prevede un ruolo attivo dell’autorità portuale triestina a supporto delle attività logistiche della CCCC nelle aree di Ningbo, Shanghai e Shenzhen, dove agisce il cuore pulsante della logistica e della produzione ad alto valore tecnologico cinese.

Visti dall’Italia, quei poli costituiscono “scali dei servizi intercontinentali che fanno capo a Trieste”, come ha dichiarato D’Agostino. In questo quadro, l’accordo impegna anche la CCCC all’attivazione di magazzini logistici nell’area portuale dell’Adriatico orientale, con l’obiettivo dichiarato di incentivare lo sviluppo infrastrutturale, la crescita economica e la creazione di posti di lavoro nella regione.

Crescita dei volumi commerciali, sviluppo di piattaforme intermodali e assunzione di un ruolo strategico quale crocevia di importanti corridoi logistici transeuropei hanno accresciuto enormemente l’importanza del porto triestino per gli interessi di Pechino relativi alle Nuove Vie della Seta, rappresentando al contempo la premessa per un maggiore afflusso di investimenti cinesi e il motore di un ulteriore sviluppo commerciale dell’infrastruttura. È anche sotto questa luce che può essere compreso il conferimento dello status di porto franco nel 2017, risultato del successo infrastrutturale e logistico di Trieste e segnale che i tempi per il superamento di una proiezione puramente regionale fossero oramai maturi.

Ed è proprio con queste premesse che il Mediterraneo orientale e l’Adriatico sembrano acquisire un ruolo strategico all’interno delle direttrici marittime della BRI che collegano la Cina all’Europa. Dopo la trasformazione del porto greco del Pireo – di cui, dal 2016, la cinese COSCO detiene il 67% del pacchetto azionario – nella porta di accesso marittima di Pechino all’Europa, la partnership tra porto di Trieste e CCCC costituisce una spinta ulteriore per la ridefinizione del Mediterraneo orientale quale network marittimo di riferimento della BRI in Europa.

Se ad attrarre i cinesi non bastasse la geografia – meno di 14 mila chilometri via mare separano Shanghai dall’Adriatico settentrionale, contro i quasi 18 mila della tratta Shanghai-Amburgo – nel 2015 l’allargamento del canale di Suez ha fatto registrare un aumento sostanziale sia del traffico merci da e verso il Mediterraneo (+10,9% dal 2016 al 2017) che in termini di grandezza delle navi portacontainer in transito, con una stazza media cresciuta del 21% tra il 2014 e il 2017.

Oltre i numeri del successo logistico alimentato dagli investimenti legati alla BRI, la crescente attrattività del Mediterraneo orientale ha avuto implicazioni parzialmente negative sui volumi commerciali gestiti dai porti di altre regioni europee. In questo contesto, a profilarsi è anche il rischio che porti regionali più piccoli subiscano un forte ridimensionamento, come nel caso di Koper in Slovenia. La questione investe direttamente anche l’Italia, come dimostrano le critiche scatenatesi a cause dell’esclusione di porti meridionali come Augusta e Gioia Tauro dai progetti della BRI. La partita logistica mediterranea ed europea è quindi tutt’altro che chiusa, ma pare già indicare che non saranno proprio tutti a vincerla.