Ancora una volta Trieste, la città di Svevo e di Saba, la capitale italiana della cultura mitteleuropea, diventa una scena del crimine. È qui, infatti, che un’innocua turista americana, Annabel Alexander viene uccisa e una ragazza ucraina, Julia, subisce una brutale aggressione, sfiorando la morte.

Nell’autunno triestino – stagione simbolo della città simbolo di quella krisis che nel primo Novecento iniziò ad annunciare il tramonto dell’Occidente – la squadra dell’ispettore Ettore Benassi si trova a dover dipanare fili che sembrano portare verso il passato, per risolvere l’assassinio della amichevole e solare signora e della violenza inflitta alla ragazza in cerca di un nuovo inizio. Fili che arriveranno a delineare nuovi e inaspettati – o forse solo troppo spesso trascurati – profili delle due vittime. Così tra Trieste, l’America degli anni Sessanta, l’Ucraina e le montagne presso Tarvisio, si snoda la matassa narrata nell’ultimo libro di Roberta De Falco, intitolato Non è colpa mia e uscito di recente per Sperling & Kupfer (pp. 285, euro 17, 90).

Nel romanzo ritornano i consueti elementi che caratterizzano il lavoro di Roberta De Falco, quali l’originalità del plot, l’approfondimento psicologico dei personaggi, la vivacità dei dialoghi. E, soprattutto, la descrizione viva e reale di una città, di un ambiente con tutte le sue contraddizioni, come ad esempio quelle legate ai rapporti tra autoctoni e migranti, argomento in qualche maniera ancor più straniante in un luogo come Trieste, da sempre città di frontiera e crocevia o crogiolo, come è stata definita, di genti, popolazioni, etnie diverse. A questi fattori, però, se ne aggiunge in questo libro un altro, abbastanza inconsueto all’interno della narrativa di genere. Come si sa, uno degli elementi classici a fondare la serialità è da sempre la figura del protagonista. Eppure stavolta il solito protagonista, l’ispettore Ettore Benussi è praticamente assente. Messo fuori gioco da un malore, si limita ad assistere da casa all’indagine, senza alcuna possibilità di intervento né tanto meno di direzione o almeno di cooordinamento. Il gioco investigativo è condotto esclusivamente dai suoi due collaboratori, Elettra Morin e Valerio Gargiulo. Insomma è come se in un giallo di Camilleri fossero Mimì Augello e Catarella a condurre un’inchiesta.

Qualcosa del genere è già avvenuta in alcuni romanzi di Simenon, ma in quei casi, anche se lontano o malato, comunque il commissario Maigret indirizzava, e anche pesantemente, le azioni dei suoi collaboratori. Si tratta di una piccola novità, un minimo elemento di «primavoltità», come la definiva qualcuno – forse non a caso triestino – che può servire a confermare ancora una volta la passione per l’originalità, per le variazioni rispetto al canone di un’autrice come Roberta De Falco.