La crisi da Covid 19 è stata durissima per il mondo del lavoro in Italia. Ma le cifre sarebbero state ben peggiori senza il blocco dei licenziamenti, ora superato, e gli ammortizzatori sociali in deroga. Questo il cuore della relazione annuale del presidente dell’Inps Pasquale Tridico che è ottimista sul futuro del nostro paese: «Oggi i segnali di ripresa sono incoraggianti, robusti, sta a noi trasformarli in elementi strutturali di crescita e di vero rilancio».
Il blocco dei licenziamenti, partito a inizio pandemia e finito il primo luglio tranne che per il settore tessile, in un anno ha salvato circa 330mila posti – si sono ridotte le cessazioni decise dall’azienda per motivi economici da 560.000 a 230.000 – di cui due terzi nelle piccole aziende, secondo le stime dell’Inps.
L’occupazione si è tuttavia ridotta del 2,8% e a pagarne il prezzo sono stati soprattutto i precari, le donne e gli autonomi, questi ultimi calati di ben il 5,1%. Le nuove assunzioni sono scese di quasi un terzo rispetto al 2019. E chi ha mantenuto l’impiego ha visto calare la propria retribuzione annua dai 24.140 euro del 2019 a 23,091 del 2020: circa mille euro in meno, in media, pari al 4,3%.
La Cassa Integrazione ha sostenuto i redditi con un boom mai visto: ha riguardato 6,7 milioni di lavoratori ed è costata 18,7 miliardi; nel 2019 – prima del Covid – si era speso meno di un miliardo e mezzo.
Questi non sono stati gli unici aiuti erogati dall’Istituto di previdenza: si superano infatti i 44 miliardi, e i 18 milioni di italiani beneficiari, se consideriamo tutte le altre misure, dal reddito di cittadinanza a quello d’emergenza, passando per i congedi per i figli e gli altri bonus.
Un impegno gigantesco per l’Inps, ma Tridico ritiene che nel corso di quest’anno la ripresa economica permetterà di superare gli effetti finanziari negativi. Un capitolo caldo quello dei conti dell’Istituto che tocca il tema pensioni: Quota 100 finirà a dicembre e in ballo ci sono diverse proposte di anticipo.
L’uscita con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età, proposta dalla Lega, peserebbe nel 2022 secondo l’Inps per 4,3 miliardi per arrivare a fine decennio a 9,2 miliardi. In media costerebbe lo 0,4% del Pil. Al momento «l’uscita anticipata indipendente dall’età è possibile fino al 2026 con almeno 42 anni e 10 mesi di contributi (41 e 10 per le donne) oltre a tre mesi di finestra mobile. «Il dibattito sulle pensioni – ha detto il ministro del Lavoro, Andrea Orlando parlando alla presentazione del Rapporto Inps – è eccessivamente concentrato sulla flessibilità in uscita e sulla possibilità di anticipo dell’uscita dal mercato del lavoro mentre dovremmo concentrarsi sulle prospettive che riguardano in particolare gli assegni delle nuove generazioni». Il confronto secondo il ministro dovrebbe aprirsi dopo la riforma degli ammortizzatori sociali che è «all’ultimo miglio». Tridico sostiene la proposta che prevede un’opzione di anticipo della sola quota contributiva della pensione – anticipata al manifesto – che costerebbe in un primo momento 500 milioni per poi arrivare a un costo massimo di 2,4 miliardi nel 2029, ma questa ipotesi non piace ai sindacati che insistono su una flessibilità a partire dai 62 anni senza penalizzazioni. «Non sembra vi sia nell’esecutivo – sottolinea il segretario confederale della Cgil, Roberto Ghiselli – la consapevolezza che se non arrivassero risposte concrete su un tema così sensibile, sarà inevitabile una incisiva mobilitazione dei lavoratori». Anche Cisl e Uil chiedono con urgenza il tavolo anche perché il tempo stringe rispetto alla scadenza di Quota 100, misura che, sempre secondo i dati Inps, ha portato al pensionamento anticipato 253.000 persone, prevalentemente uomini (il 71,5%). Salvini e il governo Conte Uno ne stimavano un milione. Un flop annunciato che ha premiato poche categorie.