«La Convenzione di Istanbul, che prescrive di rendere concreto il diritto delle vittime alla protezione, resta in larga parte ancora disattesa» in Italia, nonostante molto sia stato fatto e alcuni tribunali presentino best practice da diffondere. Questa è una delle conclusioni del rapporto sulla violenza di genere e domestica nella realtà giudiziaria approvato dalla commissione di inchiesta del Senato sul femminicidio presentato ieri nel corso di un convegno a Palazzo Giustiniani.
L’indagine è stata svolta somministrando attraverso un’applicazione informatica appositi questionari a procure, tribunali ordinari, di sorveglianza, Csm, scuola superiore della magistratura, consiglio nazionale forense e ordini degli psicologi focalizzando l’attenzione sul triennio 2016-2018.
In ambito giudiziario, la conclusione, «serve molta più formazione e specializzazione per riconoscere e con affrontare con efficacia la violenza contro le donne, sanzionarla, prevenire escalation, sostenere le donne che denunciano».

Quanto alle procure, la ricerca ha indagato la specializzazione dei pubblici ministeri sulla violenza di genere e l’organizzazione degli uffici. Su un totale di 2045 magistrati requirenti, il numero di quelli assegnati a trattare, nel 2018, la materia specializzata della violenza di genere e domestica è pari a 455, il 22% del totale. Tuttavia non necessariamente i magistrati specializzati si occupano soltanto di violenza contro le donne. Nel 90% delle procure esistono dunque magistrati specializzati, ma i provvedimenti per violenza non vengono per forza affidati a loro. Nel complesso, solo nel 12% delle procure emerge attenzione ai temi della violenza e un elevato livello di consapevolezza. Per quanto riguarda i tribunali ordinari «nel 95% dei casi non vengono quantificati casi di violenza domestica emersi nei casi di separazione giudiziale, di scioglimento e cessazione degli effetti civili di matrimonio e in quelle sui provvedimenti riguardo ai figli, come pure non sono quantificate le cause in cui il giudice dispone una Ctu nella materia. Ciò attesta una sostanziale sottovalutazione della violenza contro le donne», è l’accusa del rapporto.

Sotto i riflettori anche i tribunali di sorveglianza, ovvero gli «uffici che sovrintendono all’esecuzione penale e che, per esempio, concedono i benefici ai condannati, dal permesso premio alla semilibertà: è chiaro che l’adozione di queste misure alternative al carcere, nei casi di violenza domestica, non possono prescindere dal fondato accertamento di non mettere a rischio le donne e i figli offesi dal reato – sottolinea il rapporto – Soltanto in un numero limitatissimo di tribunali di sorveglianza si è rilevata la buona prassi di coinvolgere anche le vittime nell’istruttoria finalizzata alla concessione dei benefici penitenziari». Esistono poi buone pratiche. Alcuni tribunali «verificano i rapporti con la vittima anche successivi alla condanna» (Torino); «valutano anche il contesto familiare e sociale nel quale il condannato dovrebbe rientrare» (Roma); «ascoltano anche il congiunto (coniuge) ove la difesa del condannato asserisca il completo superamento della conflittualità familiare» (Trento); «valutano le risultanze circa i rapporti con la vittima» (Brescia); «valutano l’attuale rapporto con al vittima del reato e anche il luogo in cui abita la vittima stessa» (Genova). Insomma qualche luce e tante ombre.

«Uno dei problemi fondamentali – ha sottolineato la senatrice del Pd Valeria Valente, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché di ogni forma di violenza di genere – resta che le cause civili di separazione e quelle penali per violenza domestica non dialogano, per cui le donne vittime di abusi possono addirittura vedersi portare via i figli con la forza pubblica, sulla base di consulenze tecniche d’ufficio che non leggono la violenza. Leggere correttamente la violenza e non derubricarla a conflitto significa, per esempio, far scattare la Convenzione di Istanbul che dispone l’allontanamento dei minori dalla violenza stessa e quindi dal padre maltrattante». «Comprendiamo quanto ci dobbiamo impegnare per sanzionare comportamenti illeciti e prevenire le violenze. Il quadro che ci avete presentato è molto critico, anche se non mancano isole felici o più accettabili», ha detto il primo presidente della Corte di Cassazione Pietro Curzio. Per Curzio l’iniziativa al Senato è un’occasione «imperdibile per un confronto continuo e una comune crescita culturale». «Per ciò che è nelle sue competenze – ha proseguito – il Consiglio superiore della magistratura farà tesoro particolarmente con riguardo ai nodi critici, delle indicazioni che emergono dal documento, per supportare e implementare l’esportazione di adeguati modelli organizzativi e pratiche efficienti».