Come se si riconoscessero all’improvviso, scoprendo – adesso – che non sono fatti gli uni per gli altri. Adesso Enrico Letta pretende dagli alleati del Pdl, che da cinque mesi lo fanno ballare, «un chiarimento definitivo». Di più, un «prendere o lasciare». I berlusconiani il chiarimento lo vogliono «anche sulla giustizia». E provano a riportare la faccenda delle dimissioni minacciate lì dove pensavano che si fermasse: «Siamo determinati a voler difendere Berlusconi – dice Renato Brunetta – ma anche a voler proseguire l’azione di governo». Nessuno, cioè, vuole assumersi la responsabilità della crisi. Ma la crisi, nel giorno in cui il premier e il capo dello stato registrano una linea comune di intransigenza rispetto alle alzate di ingegno del Pdl, è di fatto già aperta. La presa d’atto ieri sera al tavolo del Consiglio dei ministri. Attorno al quale berlusconiani e democratici si sono dovuti ancora sedere per fermare l’aumento dell’Iva. Ma erano già tornati avversari, incapaci anche di accordarsi sull’ennesimo rinvio. A vuoto anche il coro di chi vorrebbe la continuità di governo, Fondo Monetario, Europa, Confindustria e vescovi. Nel momento del divorzio l’atmosfera opaca è la stessa del giorno di quelle strane, impossibili nozze.

Enrico Letta ha avuto a disposizione un solo pomeriggio, al ritorno da New York, per dispiegare tutto il suo «gioco all’attacco» che aveva preannunciato in risposta al videomessaggio di Berlusconi. Sarà lui a chiedere una verifica e non al chiuso di un vertice di maggioranza, ma in parlamento e con un voto di fiducia. «Le promesse non bastano, non mi faccio logorare, al Vietnam non ci sto» è il genere di ragionamenti proposto dal presidente del Consiglio in una serie di incontri. Prima con il suo vice Alfano, che doveva riferire a Berlusconi, poi con Epifani e infine anche con lo zio Gianni Letta, gran consigliere del Cavaliere (per quanto meno ascoltato, di questi tempi). Ma è con Giorgio Napolitano che il presidente del Consiglio ha fissato la strategia per le prossime ore.

Il presidente della Repubblica non ha mancato un appuntamento a Milano, in mattinata, per ricordare l’economista Luigi Spaventa. Si è commosso come gli capita quando ricorda gli amici, ma questa volta è apparso assai provato dall’evolvere della crisi. Ha alzato la voce contro «lo smarrimento di ogni nozione di confronto civile, e di ogni costume di rispetto istituzionale e personale»: chiarissimo il riferimento agli attacchi cui lo sta sottoponendo il Pdl. «Lo scioglimento anticipato delle camere – ha detto in un passaggio – è una prassi molto italiana». Non ha bisogno di aggiungere molto il Capo dello stato, la sua contrarietà alle elezioni anticipate è nota a tutti. La novità delle ultime ore è che anche al Quirinale si è preso atto della fine inevitabile di queste larghe intese, di cui Napolitano è stato il motore primo. C’è solo un’ultima curva prima delle urne: verificare la possibilità di un’altra maggioranza.
Da subito, forse già martedì prossimo in parlamento (il passaggio stretto è al senato), Letta verificherà la tenuta del Pdl mettendo al centro del suo discorso gli impegni economici. Qualche dissenso rispetto alla linea di Berlusconi non manca, ma il presidente del Consiglio esclude la possibilità di andare avanti grazie a nuovi «responsabili». Un Letta-bis che imbarcasse dai fuoriusciti del Pdl quella decina di voti che mancano per una nuova maggioranza avrebbe respiro troppo corto e resterebbe esposto ai ricatti dei «peones». Se il fronte berlusconiano non frana di schianto, e non sembra probabile, una nuova versione della larghe intese non potrà nascere. Altrettanto fuori dallo schema del Capo dello stato è un governo sorretto da qualche voto di ex 5 Stelle e dai pochi senatori di Sel.

Il clima è quindi quello che precede le urne. Intorno al tavolo di palazzo Chigi, il primo ministro e il suo vice si sono trovati come in un confronto elettorale. Come se fossero loro i campioni dei rispettivi schieramenti. Alfano, colomba di carta, ha tenuto un comizio contro i giudici che nemmeno il videomessaggio del cavaliere. Ha chiesto una verifica praticamente sulla condanna del Cavaliere, chiedendo quello che anche il Pdl sa che è ormai impossibile: un ripensamento della giunta del senato sulle pregiudiziali di costituzionalità alla legge Severino. Letta ha anticipato tutti con la mossa di non discutere dell’Iva: così l’impopolare aumento della tassa dovrebbe andare a carico degli umori fumantini del Cavaliere. Mentre dal Pdl già strillano: siete voi che alzate le tasse.