La lettera di Tria alla Commissione europea è finalmente partita. Le tabelle, invece, ancora non ci sono: né quelle per la Ue né quelle per il parlamento italiano. Nella missiva per Bruxelles, corredata dall’auspicio di un «confronto aperto e costruttivo», sono almeno segnate nero su bianco quelle previsioni di crescita per i prossimi tre anni che il governo aveva dimenticato di comunicare mercoledì sera: 1,5% per il 2019, 1,6% per il 2020, 1,4% per il 2021. Sono previsioni azzardate e i commenti anonimi raccolti dall’agenzia Reuters tra i funzionari della Ue non esitano a definirle «assolutamente folli» e «ridicole».

«RISPONDEREMO nei prossimi giorni», fa sapere il vicepresidente della commissione Ue Dombrovskis. Per il momento si fa sentire solo Moscovici che, ormai in scatenata campagna elettorale, si è lanciato alla carica anche ieri denunciando il rischio di «implosione dell’Europa» per colpa di Salvini, Orbán e Le Pen. Ma sulle possibilità che la commissione accetti la manovra italiana nessuno si fa davvero illusioni. Anche perché, sia pure in forma anonima, la commissione stessa fa sapere che il giudizio riguarderà solo il 2019. Un modo quasi esplicito per segnalare che le pur corpose revisioni del deficit per i due anni successivi non sono sufficienti.

I partiti di maggioranza, in Italia, non hanno però al momento tempo di preoccuparsi per le reazioni europee né per quelle, in questo caso molto più temibili, delle agenzie di rating che a fine mese potrebbero declassare l’Italia portandola ai confini dell’ultimo gradino, quello dei titoli junk e del fallimento, innescando così una specie di reazione a catena nucleare. Sono troppo occupati a litigare sulla spartizione delle risorse, peraltro esigue. Stavolta si tratta di un litigio serio, non di una schermaglia come negli ultimi mesi. Lo scontro è tanto pesante che tracima nelle dichiarazioni pubbliche, e per una volta non è messa in scena. Dietro le quinte la tensione è ancora più alta di quel che appare. Apre il fuoco Salvini, a cui la divisione fatta trapelare dai 5 Stelle, 10 miliardi per il reddito, la metà per la revisione della Fornero, non è andata giù: «Se ci sono 8 miliardi per la Fornero, ce ne sono 8 anche per il reddito». Lo rimbecca a stretto giro il sottosegretario grillino Buffagni: «Forse di mattina presto Salvini era confuso. Ho qui la tabella». Tabella provvisoria, nel caso, dato che proprio sulle tabelle si scervellano per tutto il giorno i tecnici del Mef. Non è che si possano modificare alcuni dati essenziali, come è stato fatto mercoledì sera, senza che tutto il resto debba essere rivisto e corretto.

DALLA LEGA il viceministro dell’Economia Garavaglia rimbecca a muso duro: «Spiace che esponenti dei 5 Stelle vadano in giro con tabelle che sono mere simulazioni». Poi Di Maio prova a stemperare: «Ci sarà tutto, i 10 miliardi per il reddito e i 7 per la Fornero». Più facile parlarne che trovarli, quei miliardi. Forse il buco di 15 miliardi di coperture mancanti di cui si parla ovunque nei palazzi è un’esagerazione, ma non di tanto. Così il nervosismo va alle stelle e una prova ulteriore arriva dalla surreale dichiarazione dello stesso Di Maio che promette pene da sei anni di galera per chi «fa il furbo» col reddito. E perché non l’ergastolo, già che ci siamo?

Il tiro alla fune sui fondi, oltre a segnalare lo stato momentaneamente pessimo dei rapporti tra i due soci, offre un’immagine confusa e disorientante della manovra: la peggiore che si possa dare in questo momento per gli investitori. La partita è aperta e la sola cosa certa è che sarà difficile. Il niet della commissione è scontato: bisognerà vedere se si limiterà alla classica lettera con richieste di modifica, alla quale potrebbe poi seguire l’avvio di una procedura di infrazione i cui tempi sono lunghi, o se Bruxelles opterà, per la prima volta nella storia dell’Unione, per un respingimento secco, ipotesi ben più contundente.

ANCHE SUL VERDETTO delle agenzie di rating c’è poco da stare allegri. La speranza è che almeno una delle due principali, Moody’s e Standard and Poor’s, eviti il downgrade, lasciando così uno spiraglio aperto. Sarebbe comunque una situazione molto difficile, che metterebbe a dura prova la tenuta della maggioranza. Ma in caso di respingimento europeo e downgrade unanime delle agenzie le cose diventerebbero infinitamente più gravi.