Nel giorno del bombardamento Ocse, un avvertimento che lascia presagire poco di buono per il futuro, il ministro Tria torna nel mirino, come e forse più che nei momenti peggiori. A puntare i fucili non è tutta la maggioranza. La Lega se ne chiama fuori e fa discretamente sapere che il problema è solo con i soci, con i 5S. Loro però stavolta sono proprio infuriati. Fanno circolare voci su un livello di irritazione ormai da allarme rosso. Aggiungono che il ministro «per ora» resta al suo posto «perché c’è il Def da presentare». Solo che di qui a quella scadenza ci vogliono appena nove giorni.

Ufficialmente l’ira pentastellata è dovuta soprattutto al ritardo nella firma del Mef per i rimborsi ai risparmiatori truffati, particolare sul quale peraltro martella anche la Lega. Ma è chiaro che sullo sfondo c’è molto di più. C’è la posizione assunta dal ministro sul rischio di recessione, paroletta che alle orecchie degli altri governanti suona più o meno come una citazione della corda in casa dell’appeso. C’è la difesa delle banche di domenica, che ai 5S è andata giù ancor meno dei cupi pronostici sulla recessione («Attaccare il sistema bancario significa avallare una delle campagne europee che ci stanno attaccando e mettendo in difficoltà»). Forse c’è anche il fatto che Tria, pur essendo un tecnico in realtà al di fuori delle quote, è comunque stato indicato della Lega e nel clima di guerra elettorale ormai scoppiata sparare su di lui equivale a bersagliare i soci-nemici.
Sta di fatto che l’attacco è davvero senza precedenti. Perché i 5S non si limitano a comunicare la loro assoluta insoddisfazione. Vanno giù pesante con i colpi bassi. Prima il sottosegretario Buffagni, che insinua, con la classica formula «mi auguro che non sia così», un’influenza nefasta della principale consigliere di Tria, Claudia Bugno, già Banca Etruria. Poi è proprio il candidato in pecore alla presidenza della commissione d’inchiesta, Gianluigi Paragone, a mitragliare con un video nel quale dice chiaro e tondo che il ministro e la sua consigliera «devono spiegare ai cittadini e a noi dell’M5S». E devono spiegarlo rispondendo a un’interrogazione già presentata dai 5S.

La spiegazione «dovuta» riguarda l’assunzione del figlio dell’attuale moglie di Tria in una società di cui è amministratore il compagno di Claudia Bugno. Non è un comportamento distante dallo squadrismo mediatico, ma l’aspetto più stupefacente è che questi metodi – l’uso spregiudicato del fango – si usano di solito solo per i nemici giurati. Certo non per un ministro del proprio governo.
Ieri sera Tria ha incontrato Conte ed è probabile, per non dire certo, che abbia posto il problema di un attacco così violento, mirato e scorretto, anche se al centro del colloquio c’è stato soprattutto il nodo dei rimborsi, fondamentale anche per la Lega e quello del decreto crescita. I rimborsi saranno inseriti nel decreto, che però deve ancora essere completato e che nelle ambizioni di Tria e Conte dovrebbe risollevare le sorti del Pil di quest’anno di un paio di decimali. Pur restando molto lontano dall’1% di crescita preventivato, si riuscirebbe comunque a evitare quello 0% o peggio che costituisce l’incubo recessione.

Sino all’estate comunque il governo dovrebbe arrivare sano e salvo, a meno di imprevisti che potrebbero verificarsi sul fronte finanziario ma anche su quello interno se la tensione tra 5S e Tria resterà così alta. Giovedì verrà portato di fronte al Consiglio dei ministri il decreto crescita, con le misure che permetteranno di raccontare alla Ue che sono stati fatti passi concreti nella direzione indicata. Il 10 aprile, se non ci saranno slittamenti, verrà presentato un Def fasullo di fronte al quale la commissione europea farà finta di niente, perché a confrontarsi sono in realtà due debolezze e neppure la Ue può permettersi uno scontro subito prima delle elezioni.
I guai cominceranno in estate. La tentazione che circola è quella di ricorrere all’aumento dell’Iva, mascherandolo da «rimodulazione». Ma la manovra che si profila è così massiccia che anche quel dolorosissimo passo potrebbe non bastare. La tenuta della maggioranza, ieri unita nel respingere l’attacco dell’Ocse, sarebbe così sottoposta alla prova finale.