Collaboratori, partite Iva, apprendisti, disoccupati. Circa 70 mila iscritti in tutta Italia, il Nidil rappresenta un mondo variegatissimo di lavoratori: negli ultimi anni si è impegnato – insieme alle altre categorie della Cgil – a includerli nei contratti nazionali. Come rappresentarli, però, se perfino il Testo unico sulla rappresentanza li considera ’invisibili’? A notare la lacuna nell’accordo, già al centro delle cronache per lo scontro Camusso-Landini, è il segretario generale Claudio Treves.

Un aspetto finora trascurato dai giornali, ma in effetti piuttosto grave.

C’è praticamente solo una frase nel testo, un passaggio che parla delle “figure non a tempo indeterminato” e dell’opportunità di coinvolgerle. Ma è un capitolo tutto da scrivere, e che dovremo fare nei contratti di categoria. In quello dei lavoratori in somministrazione, siglato il 27 gennaio, c’è un impegno regolare l’applicazione del Testo Unico. Allo stesso modo, siamo riusciti ad avere diritti e agibilità sindacali anche per i collaboratori delle ricerche di mercato, con la Assirm, e con alcune organizzazioni non governative.

Per il resto mi pare di capire che il Nidil dovrà chiedere a ciascuna singola categoria di avere un posto al tavolo.

La titolarità resta sempre in capo alle categorie, e questo non si discute. Ma sì, certo, noi conosciamo i problemi dei precari, e vorremmo che se si parla di Testo unico si tenga conto anche del fatto che queste persone, spesso più deboli delle altre, dovrebbero avere diritto alla rappresentanza e alle agibilità sindacali come tutti gli altri.

Il passato governo Letta, e politici del Pd come Damiano o Fassina, sembravano aver recepito l’appello di alcune associazioni di partite Iva ad abbassare il costo dei contributi. Anche Renzi va nella stessa direzione. Nella Cgil alcuni aprono, altri vedono un pericolo.

È vero, ma mi pare che chi sostiene questa posizione vada contro le nostre convinzioni. Su questo tema si è già espressa in modo inequivocabile Susanna Camusso, alla conferenza di indirizzo della Consulta delle professioni Cgil, nell’ottobre 2013: questi contributi non devono essere abbassati, per due ordini di motivi. Innanzitutto perché in questo modo si innesca una competizione al ribasso sul costo del lavoro. E poi perché a fronte di minori contributi, avremo a fronte pensioni più povere.

Quindi la Cgil si condanna a non entrare in sintonia con le partite Iva?

Al contrario. Innanzitutto noi vogliamo tutelare i falsi autonomi, riconducendoli nel lavoro dipendente e tutelato. Per le partite Iva autentiche, che ovviamente esistono e lavorano in piena libertà, chiediamo ugualmente delle tutele nei contratti, ci offriamo di rappresentarne le esigenze. Riteniamo equo che arrivino, seppur gradualmente, a un monte contributivo simile al resto dei lavoratori, ritenendo sbagliato il blocco dell’aumento, o addirittura l’abbassamento al 24%. Tutto questo va ovviamente legato a una condizione di garanzia nei loro confronti: il riparto con il committente non deve più essere facoltativo, ma obbligatorio. Bisogna disporre insomma che il committente paghi realmente la sua parte di contributi, non permettendo più di scaricarli tutti sulla partita Iva.