Siamo al rush finale sul PNRR. Mancano infatti 30 giorni alla scadenza per inviare a Bruxelles il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza e il dibattito monta sempre di più. È una discussione però ancora centrata sul testo varato dal precedente esecutivo. È per questo che ieri abbiamo organizzato dagli studi Sky di Milano un talk per presentare le nostre proposte sul Piano, coinvolgendo il governo Draghi, che sta rivedendo quanto scritto dal Conte 2, oltre a diversi rappresentanti del Parlamento, del mondo dell’impresa, del lavoro e dell’associazionismo.

Hanno risposto al nostro appello 6 ministri – Di Maio, Orlando, Cingolani, Giovannini, Patuanelli e Carfagna – e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri Amendola e ne è venuto fuori un dibattito che ha fatto emergere quattro punti fermi.

Il primo è la necessità di semplificare gli iter autorizzativi per realizzare gli impianti della transizione ecologica. Non ci possiamo infatti impiegare anni per dare il via libera ai necessari parchi eolici a terra e a mare e agli impianti che producono compost e biometano, se vogliamo spegnere le centrali a carbone entro il 2025, quelle a gas entro il 2040 ed evitare di costruire nuove discariche o inceneritori. Per realizzare questi impianti, ma non solo – si pensi ad esempio ai depuratori e alle reti ferroviarie ad alta velocità che mancano nel meridione – non basteranno i finanziamenti e le semplificazioni ma servirà prevenire i conflitti.

Questo è un secondo tema emerso nella discussione di ieri coi ministri, che si può affrontare solo con una diversa impostazione culturale da parte delle Sovrintendenze e con una nuova stagione della partecipazione per enti locali e cittadini. Serve a tal fine una nuova norma sul dibattito pubblico, da usare per tutte le opere del PNRR, per condividere le scelte con il territorio nell’interesse della collettività.

Il terzo punto fermo è che la transizione ecologica deve avere la fedina penale pulita. Il procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho ha confermato l’allarme sull’infiltrazione delle ecomafie negli appalti delle opere che si realizzeranno. Un problema da scongiurare potenziando i controlli repressivi di magistratura e forze di polizia e preventivi del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente.
La quarta priorità è che la transizione ecologica deve essere giusta. È fondamentale accompagnare i territori che oggi vivono di lavorazioni inquinanti o in stato comatoso (si pensi a Taranto e al Sulcis) o petrolifere destinate a ridursi (come a Ravenna, Siracusa, Ragusa e in Val d’Agri in Basilicata) verso una inevitabile riconversione fondata sull’innovazione.

Le aree industriali possono diventare anche siti per i fondamentali accumuli per l’elettricità dalle rinnovabili intermittenti e luoghi di produzione di idrogeno verde e di energia da solare fotovoltaico o termodinamico. I porti industriali possono diventare anche centrali operative di assemblaggio e manutenzione dell’eolico a mare e dismissione delle piattaforme di idrocarburi non più operative.

Sono solo alcuni dei nuovi posti di lavoro per recuperare le competenze di chi ha lavorato sulle vecchie produzioni ormai in declino. Usiamo subito i soldi europei – anche quelli del Just Transition Fund – per far svoltare questi territori.

Nei prossimi giorni verrà presentato dell’esecutivo il PNRR aggiornato. Ci auguriamo di non vedere sciocchezze come il Ponte sullo Stretto di Messina o il confinamento geologico della CO2 nei fondali marini, ma solo progetti davvero green. È arrivato il tempo del coraggio e delle scelte radicali. Il paese non può più aspettare.

* Presidente nazionale di Legambiente