Esattamente un anno fa, Luigi Di Maio si dimetteva da capo politico del Movimento 5 Stelle. La ricorrenza cade in uno dei giorni più confusi della crisi politica che investe il governo Conte, quando la mancanza di una direzione certa si avverte in maniera particolare. «Non ho mai mollato – dice Di Maio – Ci sono stato, ci sono e ci sarò. Sempre».

Nel frattempo, il reggente Vito Crimi convoca la votazione sulla piattaforma Rousseau che dovrà approvare il trasferimento dei poteri dalla figura di un singolo capo politico a un comitato composto da cinque persone, come da indicazioni degli Stati generai del M5S. Le urne digitali apriranno il 9 febbraio e si chiuderanno il giorno successivo.

La data è fissata ma potrebbe essere tardi. Perché la terra trema sotto i piedi dei parlamenari e le tre indicazioni che gli attuali vertici grillini hanno imposto alla gestione della crisi rendono il crinale da percorrere troppo stretto, fin dall’immediato. La «crisi di governo più infame che si ricordi» (copyright Alessandro Di Battista) prevede che il M5S continui a considerare Giuseppe Conte irremovibile (come ribadito ieri da Riccardo Fraccaro), sbarri ogni strada alla ripresa delle trattative con Italia Viva (come ha ricordato ancora Crimi), non consideri la possibilità di imbarcare l’Udc (secondo le indicazioni di Di Maio).

Se tutti e tre questi paletti restassero in piedi, disegnerebbero un vicolo cieco per questa legislatura. Quando, ormai dieci giorni fa, i parlamentari grillini hanno accettato la linea che chiudeva la strada a Renzi e rigettava ogni possibilità che Conte si dimettesse, anche di fronte a un reincarico blindato, erano garantito loro che una truppa di responsabili era pronta a rimpiazzare i renziani. Questa è ancora la linea ufficiale. Ma appare ogni giorno più evidente che non solo questi voti in più non ci sono, ma che se ci fossero non sarebbero graditi per via delle vicende giudiziarie che arrivano dalla Calabria. Per questo gli eletti alla camera e al senato sono sempre più inquieti. Disponibili a concedere ancora questo fine settimana per individuare una soluzione ma pronti a manifestare disagio.

Lo hanno già fatto, e in tempi non sospetti, i dodici che un paio di settimane fa dissero che Conte non era «un fine» ma «un mezzo» per raggiungere gli scopi del M5S. La paura di Crimi è che però se dovesse cadere il presidente del consiglio il gruppone dei parlamentari si muoverebbe in ordine sparso. «Il presidente Mattarella deciderà cosa fare, personalmente confermo quanto ho sempre detto: Conte è il punto di equilibrio di questa maggioranza e dovrebbe essere il candidato premier», ribadisce il ministro dello sviluppo Stefano Patuanelli. «Oggi allontanare definitivamente il renzismo dalla scena politica italiana non è affatto impossibile, credo sia un dovere morale andare fino in fondo», insiste Di Battista. E Roberta Lombardi si domanda a proposito del rapporto con Renzi: «Gli elettori ci chiederebbero: hanno fatto tutta sta manfrina di cui non si è capito il senso e ora vi ci rimettete insieme? Sembreremmo pazzi e non penso che gli italiani gradirebbero essere governati da pazzi, specialmente in questo momento».

Però ieri di riallacciare i fili con Italia Viva ha parlato il deputato Giorgio Trizzino, il cui invito ai «costruttori» era stato rilanciato da Beppe Grillo. «Parlare di ricucitura probabilmente è inappropriato – sostiene Trizzino – Ma si può fare qualcosa di diverso: ricreare le condizioni ideali per una riflessione collettiva sui reciproci errori commessi in questi ultimi mesi. Ove esistano le condizioni, potrebbe essere valutabile una riapertura di dialogo con i renziani. Abbiamo sempre lavorato proficuamente nel corso di questa esperienza di governo. Abbiamo constatato che non esistono sostanziali aspetti divisivi che ci impediscono di lavorare insieme».