Perché Gaza non può avere un porto? Perché Gaza non può esportare liberamente i suoi prodotti? Perchè un palestinese gravemente ammalato o un commerciante di Gaza deve attendere settimane, talvolta mesi, i permessi israeliani per spostarsi in Cisgiordania? Sono questi solo alcuni degli interrogativi che tutti dovrebbero porsi per capire il fallimento delle trattative al Cairo e la decisione della delegazione palestinese di non prolungare la tregua umanitaria di 72 ore terminata ieri mattina alle 8. Occorre farlo per comprendere dove ha origine la “crisi di Gaza”, come scrive e dice qualcuno per evitare di usare parole come guerra, bombardamenti, massacri, devastazioni. Serve per andare dentro una questione che si trascina da anni e che Israele ha provato a “rivolvere” con tre offensive militari distruttive e sanguinose: Piombo fuso, Colonna di Difesa e ora Margine Protettivo. Sempre soltanto con l’uso della forza. In totale in cinque anni le forze armate israeliane hanno fatto quasi 4 mila morti palestinesi a Gaza. E non è ancora finita.

Nessuno sottovaluta l’angoscia che prova una madre israeliana di Sderot o Nahal Oz mentre manda i figli a scuola a causa dei razzi lanciati da Gaza o per possibili incursioni da gallerie sotterranee. E’ vergognoso però che il mondo sottovaluti, anzi ignori del tutto anni di vessazioni, assedio, omicidi cosiddetti “mirati” e pressioni che Israele, con la collaborazione egiziana, esercita su 1,8 milioni di civili palestinesi. Persone alle quali sono negati diritti fondamentali, come curarsi quando ne hanno bisogno e non con i tempi dettati dalla concessione con il contagocce dei permessi israeliani, produrre merci ed esportarle, viaggiare, pescare lontano da Gaza, studiare all’estero senza restrizioni. Governo e comandi militari israeliani indicano in Hamas e nelle altre fazioni palestinesi che lanciano razzi la causa del blocco imposto a Gaza. La politica israeliana verso Gaza però non è cambiata anche quando i palestinesi non sparavano razzi.

La decisione della delegazione palestinese, non solo di Hamas, di non prolungare la tregua fa discutere. Giusta o sbagliata che sia, su di un punto non ci sono dubbi. I rappresentanti di Israele al Cairo non hanno fatto alcuna concessione degna di questo nome. Il governo Netanyahu punta al disarmo di Hamas e in cambio propone solo un “allentamento” del blocco di Gaza, unito a un cessate il fuoco illimitato e incondizionato. Canale 2, una delle principali reti televisive israeliane, citando un documento egiziano, riferisce che Israele ha rifiutato le richieste palestinesi per la costruzione di un porto marittimo, un aeroporto, l’estensione dei diritti di pesca, il rilascio dei detenuti politici e un maggiore afflusso di merci e materiali a Gaza. Praticamente tutto. Giovedì ad un certo punto si era parlato di un “sì” del governo Netanyahu alla scarcerazione di una cinquantina di ex detenuti di Hamas tornati in libertà nello scambio (2011) per il caporale Ghilad Shalit e arrestati di nuovo a giugno durante i rastrellamenti seguiti alla scomparsa di tre ragazzi ebrei in Cisgiordania. E’ stato smentito anche quello.

Israele è disposto a dare pochissimo ai palestinesi. E manterrà questa linea con la piena collaborazione egiziana. Il Cairo si è rammaricato per il mancato prolungamento della tregua e ha (incredilmente) parlato di «differenze minime e conciliabili» tra le posizioni delle due parti. Poi ha presentato, stando alle indiscrezioni, una nuova proposta di cessate il fuoco che non prevede l’apertura piena dei valichi, la costruzione del porto, la fine del blocco, in sostanza non include tutto quello sul quale insistono i palestinesi e non solo Hamas. Eppure con la collaborazione di altri paesi e parti coinvolte in Medio Oriente si potrebbero creare le basi per ridare la vita a Gaza e mettere fine al blocco. Il quotidiano palestinese Al Ayyam, ad esempio, scriveva ieri che non meglio precisate fonti europee hanno proposto l’apertura di un corridoio marino, controllato, fra Gaza e Larnaca, a Cipro. Osservatori europei avrebbero il compito di controllare le navi in entrambi i sensi del corridoio per garantire che non abbiano a bordo materiali per le armi. Il corridoio consentirebbe anche il passaggio di persone. Israele in ogni caso non ha alcuna intenzione di rinunciare al blocco navale della Striscia.

Ieri poco istanti dopo la fine della tregua umanitaria di 72 ore, da Gaza il Jihad Islami e i Comitati di Resistenza Popolare hanno lanciato razzi verso Ashqelon e altre città del sud di Israele. In un caso, a Shar Haneghev, hanno fatto due feriti. Fino a ieri sera ne erano stati lanciati una cinquantina, non è chiaro se anche da parte dell’ala militare di Hamas. Poi a Gaza è prevalso una sorta di conflitto a bassa intensità. Le bombe sganciate dagli F-16 israeliani comunque hanno continuato l’opera di distruzione vista per quasi tutto luglio e a fare vittime. Suleiman, Ahmad e Mahmoud Abu Haddaf sono tre componenti di una stessa famiglia uccisi a Qarara. Fino a ieri sera i morti palestinesi sono stati cinque, tra cui un bambino di 10 anni, Ibrahim al-Dawawseh, ucciso da un bombardamento a nord di Gaza. L’Ufficio dell’Onu per gli Affari umanitari, Ocha, ieri ha riferito che nelle 72 ore della tregua sono stati estratti dalle macerie altri corpi di vittime di attacchi israeliani. I morti ora sono 1.922, di cui 1.407 civili, inclusi 448 bambini. Settimane di bombardamenti che hanno anche determinato un aumento del 15-20 per cento dei casi di parti prematuri e non sono reperibili 10.000 delle 46.000 donne palestinesi che risultavano incinte prima dell’inizio dell’offensiva israeliana.

E si rischiano altre vittime palestinesi anche senza guerra perchè, avverte Ocha, il territorio è disseminato di residui di esplosivi o di munizioni, in particolare nei tre chilometri di zona cuscinetto imposta da Israele, dove i bombardamenti sono stati intensi. Intanto si aggravano le condizioni dei circa 250 mila sfollati che hanno trovato alloggio nelle scuole. I bagni, pochi per tante persone, ormai sono sporchi, le aule sono sovraffollate, malattie delle pelle e infezioni si diffondono tra i ragazzini e le persone anziane. Il Segretario generale dell’Onu Ban Ki moon ieri ha definito “intollerabile” che i civili siano sottoposti a ulteriori sofferenze e morti e ha esortato le parti a trovare rapidamente il modo per tornare al rispetto del cessate il fuoco. Il numero uno delle Nazioni Unite piuttosto dovrebbe dire basta all’assedio di Gaza e invece tace come tutti.